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Synergia Magazine

Un focus sulle politiche di conciliazione temporale

di Alessandro Pozzi

Mutamento Sociale n.15 - Maggio 2007

1. Le politiche di conciliazione in Europa

Il crescente interesse attorno alle politiche di gestione e pianificazione del tempo in Europa, ha origine da diversi fattori, quali il progressivo passaggio dalla società industriale alla società di servizi; l’elevato tasso di competitività tra le diverse economie nazionali ed il connesso proliferare di lavori flessibili, spesso caratterizzati da precarietà e discontinuità; l’incremento del numero di donne nel mercato del lavoro*  (con il conseguente mutamento dei ruoli tradizionali all’interno della famiglia); l’individualizzazione e la crescente pluralità degli stili di vita, che vede un numero sempre maggiore di famiglie atipiche, single, nuclei monogenitoriali (Boulin, 1999).

La risposta a queste sollecitazioni ha condotto l’Unione Europea ad includere nella propria agenda politica le tematiche connesse alle pari opportunità e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare (Pavan Woolfe, 2002; Fasano, 2005).
Nel marzo 1992, il Consiglio d’Europa raccomanda agli Stati membri di adottare ed incoraggiare progressivamente iniziative volte a consentire alle donne e agli uomini di conciliare le loro responsabilità professionali con quelle familiari ed educative derivanti dalla custodia dei figli (Raccomandazione 92/241/CEE).
Con tale raccomandazione, il Consiglio  introduce un nuovo concetto, partendo dalla considerazione che la conciliazione non è un tema che riguarda esclusivamente le donne –così come invece veniva considerato nel passato- ma tutti i lavoratori, indipendentemente dal genere (Cgil, 1992). L’Unione Europea ribadisce dunque la necessità di considerare tali  politiche come un fattore importante di innovazione complessiva dei modelli sociali, economici e culturali delle comunità.

Sulla base di tali premesse i singoli Paesi vengono dunque invitati ad adottare una serie di iniziative volte a promuovere una crescente condivisione del lavoro di cura da parte degli uomini, in modo da garantire anche alle donne una maggiore partecipazione al mondo del lavoro.

Nel 2000 il Consiglio ed i Ministri dell’Occupazione e della Politica Sociale, emanano la risoluzione 218/2000 sulla partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini all’attività professionale e alla vita familiare.
Nella risoluzione si incoraggiano gli Stati membri ad accentuare la promozione della partecipazione equilibrata di donne e uomini alla vita professionale e familiare, alla promozione dei congedi di paternità, al rafforzamento dei servizi di sostegno alle famiglie, ad armonizzare gli orari scolastici e di lavoro, a lanciare campagne informative sul tema. Infine si invitano gli Stati membri ad incoraggiare le PMI nell’introdurre ed intensificare pratiche gestionali che tengano conto della vita familiare dei propri lavoratori e lavoratrici.
Sulla base di queste spinte, molti Paesi europei hanno introdotto all’interno dei propri ordinamenti normative volte a favorire la conciliazione temporale e sviluppato studi e progetti su queste tematiche (Giusti, Paba, 1999).

Tra i Paesi che hanno maggiormente sviluppato questo tipo di politiche, oltre all’Italia, si annoverano le sperimentazioni condotte in Francia, quali  l’Ufficio tempi istituito presso il vice sindaco della Città di Parigi, l’Agenzia dei tempi istituita presso la comunità dell’agglomerazione di Poitiers, l’associazione no profit Casa del tempo e della mobilità a Belfort, lo Spazio dei tempi istituito presso il centro di risorse del Comune di Saint-Denis (Sue, 1995); in Germania, come ad esempio il programma Seitwerkstadt presso la municipalità di Wolfsburg, sede centrale della Wolkswagen, il caso dell’Ufficio Tempi di Brema Vegesack, centrato sugli aspetti di suburbanizzazione e disurbanizzazione, il programma “Tempi della città” tra le realtà di Brema, Amburgo ed Hannover, sviluppato in seguito all’Esposizione Universale del 2000 tenutasi ad Hanover; in Olanda, dove le politiche temporali urbane sono azioni promosse dal governo centrale attraverso la costituzione nel 1996 di una Commissione ministeriale “Organizzare il quotidiano” insediata presso il Ministero degli Affari Sociali e del lavoro che ha promosso lo sviluppo di 140 sperimentazioni attivate a partire dal 2002. Una diffusione più recente si è invece conosciuta in Finlandia, Irlanda, Spagna e Belgio (Irer, 2003).


2. Le politiche temporali in Italia

Tra le diverse realtà considerate, l’Italia è stato il primo Paese a dotarsi di una legislazione intervenuta per conciliare i tempi di vita con i tempi del lavoro (Irer, 2003)**. Si può altresì affermare che l’Italia ha contribuito in modo sostanziale ad alimentare il dibattito europeo intorno alle politiche temporali, sia in ambito accademico sia in ambito politico ed amministrativo, avvenuto nel nostro Paese con un notevole anticipo rispetto alle altre realtà europee.
Il dibattito intorno alle politiche di conciliazione temporale, si sviluppa in Italia a metà degli anni Ottanta in seguito all’iniziativa di legge popolare “Le donne cambiano i tempi” (Sezione Femminile del PCI, 1989). Con tale proposta, le donne dell’allora P.C.I. posero per la prima volta l’attenzione sulle tematiche connesse alla conciliazione dei tempi di cura parentale, gli orari di lavoro ed il tempo per sé, proponendo di agire su tre direttive:

• l'organizzazione dei tempi delle città
• il coordinamento dei servizi di interesse pubblico
• l'offerta di servizi organizzati in base agli orari.

Tali istanze sono poi state recepite dalla politica, divenendo, all’inizio degli anni Novanta, parte integrante della linea amministrativa dello Stato nel quadro delle norme di riforma della Pubblica Amministrazione: si citano in particolare la Legge 142/90 sull'autonomia degli enti locali, la legge 53 del 2000 (detta legge Turco) “Disposizioni per il sostegno della maternita' e della paternita', per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta'”.

Le politiche dei tempi delle città sono divenute infine, per effetto della legislazione nazionale, azioni pubbliche gestite in prima persona dalle Amministrazioni Comunali e normate da disposizioni regionali. La Regione Lombardia, ad esempio, ha recepito la legge 53 del 2000 con la l.r. 28 ottobre 2004, 'Politiche regionali per il coordinamento e l'amministrazione dei tempi delle città', attraverso la quale promuovere il coordinamento e l’amministrazione dei tempi e degli orari delle città, attribuendo alla Regione, alle Province e ai Comuni importanti funzioni in merito.

Nei seguenti paragrafi si focalizzerà l’attenzione sulle tre normative citate, evidenziando per ognuna di esse le disposizioni in materia ed il relativo grado di innovatività rispetto alle politiche di conciliazione.


2.1 La l.n. 142/90

Alla fine degli anni Ottanta, la legge di riforma della Pubblica Amministrazione (legge 142 del 1990) all’articolo 36 attribuisce al Sindaco l’autorità di coordinamento degli orari dei servizi pubblici, per orientarli ai bisogni degli utenti***: i servizi sociali, il commercio ed i pubblici esercizi, i trasporti, le scuole per l'infanzia ed i servizi educativi, i servizi culturali sono direttamente o indirettamente regolamentati dal Sindaco (molti di questi servizi sono direttamente erogati dal Comune).

Come detto, la norma non fa che recepire alcuni spunti offerti dalla riflessione attiva fin dalla metà degli anni '80 che da luogo allo sviluppo di sinergie fra alcuni correnti di rinnovamento, fino a quel momento rimaste separate, tra cui gli approfondimenti condotti in ambito accademico da sociologi ed urbanisti e le istanze del movimento femminista che hanno portato alla già citata iniziativa di legge popolare.

Tale legge costruisce di fatto le basi per le politiche di conciliazione temporale in Italia: in sua applicazione, molte città italiane, tra cui Milano, Roma, Bolzano, Genova, Venezia e Catania, hanno avviato sperimentazioni in materia di conciliazione dei tempi, istituito Uffici Tempi, prodotto linee di indirizzo per il finanziamento di queste politiche.


2.2 Legge n° 53 del 2000

Un’ulteriore spinta verso l’attuazione delle politiche dei Tempi è stata offerta dall’approvazione della legge 53 del 2000 (legge Turco) “Disposizioni per il sostegno della maternita' e della paternita', per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città'”.

Come si evince dal titolo, tale norma è finalizzata alla promozione dell’equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, prevedendo pertanto:

1. l’istituzione dei congedi genitoriali e l’estensione di sostegni ai genitori di soggetti portatori di handicap (Capitolo II);
2. congedi per la formazione continua e l'estensione dei congedi per la formazione (Capitolo III);
3. il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell'uso del tempo per fini di solidarieta' sociale (Capitolo VII), introducendo principi di gestione e coordinamento dei tempi intese a incentivare e agevolare l'accesso ai servizi della Pubblica Amministrazione.

La legge individua inoltre i compiti propri delle Regioni e dei Comuni. Nello specifico:
Le Regioni hanno il compito di emanare delle leggi che contengano i criteri generali di amministrazione e coordinamento degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici della pubblica amministrazione, dei pubblici esercizi commerciali e turistici, delle attività culturali e dello spettacolo, dei trasporti; i criteri per l'adozione dei PTO; criteri e modalità per la concessione ai Comuni di finanziamenti per l'adozione dei piani territoriali degli orari e per la costituzione di banche dei tempi.
Le Regioni possono incentivare finanziariamente i Comuni per la predisposizione e l'attuazione del piano territoriale degli orari e per la costituzione delle banche del tempo attraverso le risorse del Fondo per l'armonizzazione dei tempi della città.
Le Regioni possono istituire comitati tecnici, composti da esperti in materia di progettazione urbana, di analisi sociale, di comunicazione sociale e di gestione organizzativa, con compiti consultivi in ordine al coordinamento degli orari delle città e per la valutazione degli effetti sulle comunità locali dei PTO.
Altro compito delle Regioni consiste nella promozione di corsi di qualificazione e riqualificazione del personale impiegato nella progettazione dei PTO e nei progetti di riorganizzazione dei servizi.
La legge stabilisce inoltre un termine entro il quale le Regioni devono, con proprie leggi, definire le norme per il coordinamento dei tempi della città da parte dei comuni appartenenti al proprio territorio.

Per quanto attiene ai compiti propri dei Comuni, la legge 53 obbliga i Sindaci delle città con più di 30mila abitanti a predisporre, in forma singola o associata, un Piano territoriale degli Orari. Il piano consiste in un sistema di progetti coordinati fra loro finalizzato a riorganizzare i sistemi orari dei servizi urbani e alla loro graduale armonizzazione e coordinamento e, più in generale, a coordinare i tempi di funzionamento delle città e a promuovere l'uso del tempo per fini di solidarietà sociale.
L'elaborazione delle linee guida del piano compete al Sindaco, il quale deve attuare forme di consultazione con le amministrazioni pubbliche, le parti sociali, le istituzioni cittadine, le associazioni delle famiglie, ecc. In caso di inadempienza, il Presidente della Giunta Regionale, dovrebbe nominare un commissario ad acta.
Il piano, una volta approvato dal Consiglio Comunale su proposta del Sindaco è vincolante per l'amministrazione comunale, che deve adeguare l'azione dei singoli assessorati alle scelte in esso contenute.

I Comuni sopra i 30mila abitanti sono inoltre obbligati ad istituire un Ufficio Tempi, a cui verrà affidata la gestione ed il coordinamento dei progetti contenuti nel Piano,  e ad individuare un responsabile cui e' assegnata la competenza in materia di tempi ed orari. I piccoli Comuni con meno di 30.000 abitanti, possono attuare i principi di legge in forma associata. Gli strumenti principali di attuazione dei principi di legge sono il Piano territoriale degli orari e le banche del tempo.


3 Le politiche temporali in Lombardia

Le politiche temporali in Lombardia hanno conosciuto una fase di forte dinamismo all’inizio degli anni Novanta con la redazione del Piano dei Tempi e degli Orari nel Comune di Milano**** e in altre realtà lombarde, ed un successivo periodo di declino nel decennio successivo, con una scarsità di nuove iniziative e di nuovi attori sociali coinvolti in questo tipo di attività.

Le politiche di conciliazione temporale hanno poi incontrato una nuova fase di rilancio in seguito all’approvazione della legge regionale 28 del 2004, con la quale sono stati recepiti i dettami della legge 53 del 2000.


3.1 La l.r. 28/2004

L’articolo 7 della legge 53 prevede che le Regioni approvino delle leggi in merito al coordinamento dei tempi delle città con tre obiettivi specifici:

1. Stabilire dei criteri generali di amministrazione e coordinamento dei PTO sui rispettivi territori;
2. Stabilire dei criteri per l’adozione dei PTO da parte dei comuni;
3. Fissare dei criteri e delle modalità per concedere contributi ai Comuni per sviluppare progetti in merito alle politiche dei Tempi.

La Regione Lombardia ha dato attuazione a tale normativa, con l’approvazione della l.r. 28 del 2004 'Politiche regionali per il coordinamento e l'amministrazione dei tempi delle città'., pubblicata sul BURL n.44 del 29 ottobre 2004.
Come indicato nell’art.1, obiettivo della norma è quello di “promuovere il coordinamento e l'amministrazione dei tempi e degli orari delle città al fine di sostenere le pari opportunità fra uomini e donne e di favorire la qualità della vita attraverso la conciliazione dei tempi di lavoro, di relazione, di cura parentale, di formazione e del tempo per sè delle persone che risiedono sul territorio regionale o lo utilizzano, anche temporaneamente.” Per raggiungere tale obiettivo, la Regione individua:
- il sistema regionale di programmazione e definizione delle politiche temporali (artt. 2 e 3);
- i criteri generali di amministrazione e coordinamento degli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici della pubblica amministrazione, dei pubblici esercizi commerciali e turistici, delle attività culturali e dello spettacolo, dei trasporti (art. 4);
- i criteri per l'adozione dei piani territoriali degli orari (art. 5);
- i criteri e modalità per la concessione ai comuni di finanziamenti per progetti finalizzati alla definizione e attuazione dei piani territoriali degli orari (art. 6);
- le azioni di promozione e ricerca a sostegno della legge (artt. 7 e 8);

L’articolo 4 della legge, può essere considerato il punto centrale di tutta la normativa. Esso infatti individua i criteri generali di amministrazione e coordinamento dei tempi e degli orari. I Comuni, attori principali indicati alla legge, sono invitati a sviluppare i loro progetti sulla base di aree tematiche specifiche:
a. la mobilità sostenibile di persone e merci finalizzata al miglioramento della viabilità e della qualità ambientale, anche attraverso l’utilizzo di forme di mobilità alternative all’uso dell’auto privata;
b. l’accessibilità e la fruibilità temporale dei servizi pubblici e privati, promuovendo il coordinamento tra orari e localizzazione dei servizi e favorendo la pluralità di offerta
c. la riqualificazione degli spazi urbani per migliorare i circuiti di socialità e promuovere percorsi di mobilità attenti alle pratiche di vita quotidiana delle diverse fasce di età;
d. il coordinamento degli orari dei servizi sul territorio con il sistema degli orari di lavoro dentro le imprese e gli enti, la promozione di pari opportunità tra uomo e donna per favorire l’equilibrio tra le responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità all’interno della famiglia;
e. l’uso del tempo per fini di reciproca solidarietà e interesse, favorendo e promuovendo in particolare la costituzione di associazioni denominate 'banche del tempo'.

Attraverso tale legge, il Piano territoriale degli orari diventa così uno strumento di indirizzo strategico che, a livello comunale (o sovracomunale), dovrebbe regolare il sistema degli orari dei servizi urbani e promuovere la loro graduale armonizzazione e coordinamento.


3.2 Le esperienze di alcuni Comuni lombardi*****

Le politiche di conciliazione temporali in Lombardia hanno visto il concorso di attori diversi ad elaborare e sperimentare progetti Pilota. Come anticipato, la diffusione di questo tipo di politiche ha conosciuto un andamento assai altalenante nel recente passato, sia per quanto riguarda la diffusione territoriale, sia per quanto riguarda lo sviluppo di sperimentazioni innovative.

Tra le esperienze di più lunga data si citano quelle della città di Milano, iniziata nel 1991 ed ancora in corso e di Cremona (dal 1997): queste città hanno realizzato numerosi progetti e redatto un documento strategico di indirizzi per le politiche temporali (Piano territoriale degli orari approvato dal Consiglio comunale). Le esperienze dei comuni di Pavia, Bergamo, Sesto San Giovanni, Rozzano, San Donato Milanese (Bonfiglioli, 1997) sono invece più recenti: anche in queste realtà sono stati implementati progetti con gradi molto diversi di sviluppo ed in alcuni casi è stato redatto ed approvato un Piano di governo delle politiche temporali.

La maggior parte dei comuni lombardi che hanno sviluppato politiche temporali urbane sono dotati di un assessorato con la delega in materia di tempi e orari mentre alcuni hanno istituito una struttura comunale, l'Ufficio tempi, che ha il compito di gestire e attuare i progetti previsti dal Piano territoriale degli orari. Nella maggior parte dei casi è un ufficio vero e proprio, a volte si tratta di un progetto speciale con autonomia gestionale (ufficio di staff), come a Milano oppure è affidato a enti strumentali del Comune, come a San Donato Milanese.

In molte realtà comunali vi sono anche organismi politici e dirigenziali che hanno il compito di costruzione delle strategie e gestione pubblica delle iniziative dei PTO. Si tratta di strutture trasversali intersettoriali all'organizzazione comunale. Sono sostanzialmente di due tipi: gruppi inter-assessorili costituiti cioè da organi politici (ciò ad esempio si è verificato a Milano per la gestione del progetto “Armonizzazione calendario eventi”, ma anche a Rozzano). Oppure, si tratta di gruppi di pilotaggio di composizione mista (politici, dirigenti e tecnici) come è nel caso del Comune di Cremona. La loro funzione è appunto quella di coordinare i progetti sugli orari che raramente sono settoriali, piuttosto agiscono come catene di azioni integrate e coordinate.


3.3 Il bando regionale in attuazione della l.r. 28/2004

Come accennato, molte delle esperienze sviluppatesi in Lombardia hanno avuto impulso in seguito al bando per la concessione di contributi finalizzati alla predisposizione o l’attuazione di Piani Territoriali degli Orari, emanato dalla Regione Lombardia nel febbraio del 2005 con deliberazione n. 20895.
Con tale avviso, la Regione ha messo a disposizione una quota di risorse (ammontanti ad un totale di € 2.996.157  per quei Comuni intenzionati a predisporre o attuare un Piano dei Tempi, individuando nel contempo alcune tipologie di progetti ammissibili.

Assai vivace si è rivelata la risposta dei Comuni al bando, con 67 progetti presentanti, di cui 23 da Comuni della Provincia di Milano, 10 in provincia di Pavia, 8 in provincia di Brescia, 7 di Bergamo, 5 di Como, 4 di Lecco, 4 di Varese, 2 di Cremona, 2 di Lodi, 1 di Mantova, 1 di Sondrio.
Le risorse disponibili hanno consentito di finanziare 25 progetti, la maggior parte dei quali (21) prevede interventi nell’ambito del singolo Comune, mentre 4 sono stati presentati da Comuni associati. I Comuni complessivamente coinvolti nei progetti finanziati sono 62, per un totale di circa 2,7 milioni di abitanti.
I progetti hanno privilegiato soprattutto i settori di intervento della  mobilità  e dell’impatto ambientale, degli orari scolastici e dell’accessibilità dei servizi alla persona. In generale si è rilevato un interesse diffuso per i temi delle politiche temporali e delle pari opportunità, cui si affianca la difficoltà di realizzare concretamente  azioni in grado di rispondere alle criticità, anche in ragione della molteplicità dei soggetti coinvolti.

In considerazione del buon esito del primo bando, la Regione Lombardia, con D.g.r. n.8/3765 del 13 dicembre 2006, ha approvato e pubblicato un secondo bando per la concessione di contributi per la predisposizione e l’attuazione di Piani Territoriali degli Orari.
Le tipologie di Progetti Pilota che sono stati sviluppati in seguito all’adozione della l.r. 28 sono molteplici e coprono le cinque aree di intervento individuate dalla Regione:
• progetti che contribuiscano alla riduzione delle emissioni di gas inquinanti nel settore dei trasporti;
• progetti finalizzati all'armonizzazione degli orari dei servizi pubblici e privati con gli orari di lavoro;
• progetti che favoriscano l'accessibilità delle informazioni e dei servizi della Pubblica Amministrazione;
• progetti attuativi di Piani territoriali degli orari inseriti negli strumenti di programmazione negoziata previsti dalla l.r. 2/2003 “Programmazione negoziata regionale”;
• progetti finalizzati alla promozione e costituzione di associazioni denominate Banche del tempo:
• altri progetti dotati dei requisiti previsti per il PTO e presentati da associazioni di Comuni con meno di 30.000 abitanti o da Comuni che abbiano attivato forme di coordinamento e cooperazione con altri enti locali per l’attuazione di piani di armonizzazione degli orari dei servizi con vasti bacini di utenza.
Come rivelano anche le scelte nell’individuazione delle tipologie progettuali finanziabili appena descritte, la Regione Lombardia ha adottato un approccio trasversale al tema delle politiche temporali, che non privilegia un singolo settore, ma investe ambiti diversi quale quello urbanistico-territoriale, quello relativo alla qualità dei servizi, quello delle pari opportunità ecc..

Questa trasversalità da un lato pone esigenze di forte coordinamento fra differenti politiche ed interventi, dall’altro può costituire un grande punto di forza per la diffusione delle politiche dei tempi, offrendo ai Comuni molteplici possibilità di approccio ai problemi temporali, coerentemente con le priorità locali.

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Bibliografia:

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Boulin J.I., Muckenberger U., 1999, Times in the city and quality of life, Best 1/1999, European studies on time, European Fundation for Improvement of living and working conditions, Dublin.
- Pavan Woolfe L., Pari opportunità tra donne e uomini. Il punto sulla situazione dell’Unione Europea, Quaderni Spinn, 2002.
- Fasano A. , 2005, Le politiche di conciliazione del tempo di vita e di lavoro in Europa. Il caso delle esenzioni dal lavoro e del lavoro  part time, in “Quaderni del Cespe”.
- Giusti M., Paba. G., 1999,  Abitare il tempo. Una guida alle politiche sui tempi, Amministrazione Provinciale di Firenze.
- IR.e.R., 2003, Degiarde E., Bonfiglioli S., Meriggi, M., (a cura di), Le esperienze delle politiche temporali urbane dei comuni della Lombardia nel panorama nazionale ed europeo.
- Bonfiglioli S., 1997, Le politiche dei tempi urbani, in 'Il tempo e la città fra natura e storia. Atlante di progetti sui tempi della città', Urbanistica Quaderni - Collana dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, n. 12.


Note:

* Il tasso di occupazione delle donne è aumentato assai rapidamente negli ultimi anni: esso si attesta oggi al 56% a fronte di un valore inferiore al 56% nella prima metà degli anni Novanta. Le donne hanno occupato 7 degli 11 milioni di posti di lavoro creati i Europa nel periodo 1997-2002.
**   La prima ricerca europea in materia di politiche temporali è stata promossa nel 1997 dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro, con sede a Dublino. Lo studio riconosceva l’origine italiana delle politiche dei tempi e l’innovazione delle stesse nel panorama delle politiche di genere.
***   La Legge 142/90, all’art. 36, comma 2, recita: “'Il sindaco è inoltre competente […] a coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici, nonché gli orari di apertura al pubblico degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, al fine di armonizzare l'esplicazione dei servizi alle esigenze complessive e generali degli utenti”
**** All’inizio degli anni ’90 il Comune di Milano è stato, con i Comuni di Genova, Bolzano, Perugia, Catania e Roma, uno degli iniziatori delle politiche di pianificazione temporale in Italia e in Europa. Il gruppo di lavoro costituito dal Comune di Milano nel 1991, sulla base dell’art. 36 della l. 142/1990, per definire misure di coordinamento degli orari dei servizi di interesse pubblico ha redatto il primo “Piano degli orari della città” che è diventato il modello di riferimento per molte altre città italiane.
***** Da “Le esperienze di politiche temporali urbane dei Comuni della Lombardia nel panorama nazionale ed europeo”  (Irer, 2003).

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