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Synergia Magazine

La salute psicosociale dei lavoratori stranieri. Aspetti e prospettive dall’evidenza empirica

di Paolo Borghi e Francesco Grandi
Mutamento Sociale n.25 - Gennaio 2010

Le considerazioni qui di seguito riportate nascono dalla riflessione sui risultati di una recente indagine nazionale sulla salute psicosociale delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri in settori del mercato del lavoro ad elevata specializzazione etnica (1). Per l’analisi empirica di questo tema si è deciso di prendere in considerazione alcuni aspetti di fondo che strutturano l’esperienza di vita, quella lavorativa e sociale dei lavoratori stranieri, aspetti che hanno una ricaduta diretta oltre che sugli stati di salute sulla percezione, sulle aspettative e sulle intenzioni di cura personale degli stessi lavoratori. Gli aspetti e le variabili che l’indagine ha considerato sono stati: 
- i settori produttivi del segmento secondario del mercato del lavoro italiano (quello a bassa qualificazione e caratterizzato da maggiore precarietà), in cui prevalentemente avviene l’inserimento dei lavoratori stranieri, sono caratterizzati da problematiche specifiche, strettamente connesse alle particolari condizioni ambientali, relazionali e lavorative che ne caratterizzano il contesto;
- le modalità di reclutamento della forza lavoro in tali settori generano forme più o meno spontanee di specializzazione etnica. La conoscenza delle dinamiche sottese a questa dimensione è infatti fondamentale per comprendere la diffusione di particolari “subculture del malessere e della malattia”, le cornici interpretative che individuano la natura del disagio, le specifiche strategie di coping;
- la dimensione del genere: all’attenzione rivolta alle specificità proprie dei contesti che si analizzano, si deve accompagnare un’analisi approfondita dell’inserimento delle donne e degli uomini immigrati nel mercato del lavoro italiano secondo un approccio di genere. Il collocamento lavorativo infatti non è “neutro”: esso tende a riprodurre - o a generare - una divisione del lavoro imperniata su specifiche rappresentazioni dei ruoli di genere, sia sul piano sociale che su quello economico;
- i territori: l’integrazione dei lavoratori stranieri (e quindi la propensione a sviluppare forme anche patologiche di malessere) assume caratteristiche alquanto distinte in base alle specificità socioeconomiche del territorio locale a cui si fa riferimento, dato che vale in particolare in un contesto assai disomogeneo e differenziato come quello italiano.

Ma quali sono allora le dimensioni predominanti che contribuiscono a generare particolari situazioni di disagio psicosociale? Va considerato in primo luogo che, in un contesto globale caratterizzato da crisi economico-finanziarie cicliche e da un indebolimento complessivo della forza contrattuale dei lavoratori, in special modo in settori lavorativi che si avvalgono di figure professionali mediamente o poco qualificate, la precarietà lavorativa interessa un numero sempre maggiore di lavoratori e fra di essi, un numero assai elevato di lavoratori stranieri.  Il protrarsi nel tempo di tale condizione, unitamente al rischio di perdere del tutto il lavoro e con esso il diritto a rimanere in Italia, determina una forte pressione psicologica difficilmente sopportabile a lungo. E’ l’insieme di questi fattori che porta ad accettare di lavorare in condizioni particolarmente sfavorevoli senza la possibilità di rivendicare apertamente i propri diritti. Quando poi il disagio si trasforma in patologia (pensiamo ad esempio alle pressioni psicologiche a cui sono sottoposte le assistenti familiari) si innescano strategie di occultamento del disagio, sia agli occhi del datore di lavoro che dei propri connazionali, per non mettere a rischio il posto di lavoro; in altri casi invece le priorità connesse alla necessità di guadagno fanno si che i segnali di disagio vengano sottovalutati o addirittura non vengano considerati per non sottrarre tempo al lavoro fino a quando la malattia, sia essa di tipo psicologico o fisico, non si manifesta in forma dirompente. Inoltre, nella generale flessibilizzazione del mercato del lavoro, fra i lavoratori stranieri, al lavoro regolare, che consente il rinnovo del permesso di soggiorno, spesso si affiancano altri lavori che consentono un guadagno supplementare utile a fronteggiare le necessità di spesa e di risparmio. In queste condizioni, la conciliazione dei tempi lavorativi e fra tempi di lavoro e vita privata, diventa assai complicata, imponendo generalmente una compressione massima delle opportunità di socializzazione e, per coloro che sono riusciti a ricongiungersi con la propria famiglia, della sua gestione.
Il disagio individuale diventa quindi, in molti di questi casi analizzati, disagio familiare nella misura in cui non esistono o sono ridotti al minimo gli spazi di confronto e si erode progressivamente la capacità dei genitori di influire positivamente nel processo di crescita dei figli. Spesso è la donna immigrata a farsi carico della gestione e del raccordo di attività plurime e a vivere lo stress della “doppia presenza” con elevati oneri di conciliazione dei tempi di cura (di cui rimane la principale responsabile nei confronti di coniugi e figli), di kinwork transnazionale e dei tempi di lavoro. Sono inoltre sempre le donne ad essere maggiormente discriminate nel contesto lavorativo con una ricaduta negativa sul loro capitale di salute iniziale.
Altri fattori che, come emerge dalla ricerca, risultano influire direttamente sulla salute psicosociale delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri riguardano l’accesso e la fruibilità dei servizi socio sanitari territoriali. Un primo aspetto strutturale ha a che fare con la disomogeneità quantitativa e qualitativa di tali servizi sul territorio nazionale. E’ evidente infatti che la prossimità dei servizi e la capacità di fornire una risposta tempestiva ed adeguata alle sollecitazioni dell’utenza (anche quella straniera) contribuiscono in maniera significativa al benessere complessivo di un territorio e di chi lo abita. Vi sono poi altri fattori che determinano il mancato accesso ai servizi, fra di essi la scarsa conoscenza da parte dei lavoratori stranieri dei servizi erogati e delle modalità di accesso. Nelle aree metropolitane la ricchezza dell’offerta non costituisce di per sé una garanzia all’accesso: l’assenza, in alcuni casi, di un marketing dei servizi strutturato e di procedimenti di comunicazione interculturale che sappiano presentare l’organizzazione complessa del sistema dei servizi e la diversità di funzione e offerta dei diversi nodi della rete, depotenzia le opportunità inclusive che i sistemi di welfare diffuso vorrebbero ottenere.
Un’altra difficoltà connessa alla fruibilità dei servizi è segnalata da chi, pur non negando un buon livello di compliance con la figura del medico di base, ne lamenta le posture fredde, burocratiche e sbrigative, l’assenza di una relazione di ascolto che non si limiti alla diagnosi della patologia e alla prescrizione dei medicinali. Questo bisogno dialogico-relazionale e la necessità di una figura di riferimento che integri competenze di natura medica a competenze di natura psicologica potrebbe essere la frontiera di sviluppo e di specializzazione del medico di medicina generale sui territori. E’ infatti questa figura, almeno per gli immigrati regolari, a rappresentare la prima interfaccia strategica con la rete dei servizi.
Emerge in modo evidente dai principali risultati dell’analisi la necessità di valutare la multidimensionalità dei fattori e delle variabili in gioco nel determinare le strutture di rischio per la salute pscicologica e sociale dei lavoratori immigrati poiché è lungo il tracciato di questa articolazione che si gioca il rischio di marginalizzazione ed esclusione sociale degli individui; è nell’interazione con le strutture socio-economiche in divenire dei mercati del lavoro, con le reti sociali formali ed informali, con le politiche, con i servizi territoriali, con le costruzioni simboliche e i dispositivi discorsivi dei contesti d’accoglienza, che si definiscono percorsi di vita più o meno fragili.
Per fornire una risposta più efficace alle forme di disagio esplicite e latenti dei lavoratori stranieri, alla prospettiva epidemiologica è necessario quindi affiancare un’analisi puntuale dei fattori sociali ed economici che ne caratterizzano la condizione, valutando inoltre, caso per caso, la qualità dei servizi territoriali, il complesso delle relazioni che connotano società e territorio, le dimensioni socioculturali che danno forma ed orientano i comportamenti degli individui.


Note

(1): In sintesi, i risultati dell’indagine commissionata a Synergia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sono esposti in un recente articolo pubblicato sulla rivista Autonomie Locali e Servizi Sociali (n.2/2009, Il Mulino).

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