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Synergia Magazine

La risorsa 'badanti' nella rete dei servizi. Il ruolo dell'ente pubblico nel processo di integrazione

di Francesco Grandi
Mutamento Sociale n.8 - 2005

Non sorprende più che il ritratto della famiglia italiana contemporanea sia priva dei tratti compositivi e dei soggetti tradizionali che ne hanno contraddistinto il profilo per almeno un secolo. Se il racconto familiare degli album fotografici di casa tenta di testimoniare, con la sua ripetitività di ruoli, pose e posture, una continuità nel tempo, una narrazione coerente nel passaggio attraverso le generazioni, un’identità conservata senza strappi, nelle sue ultime pagine, quell’album, più facilmente mostrerà nuove disposizioni, chiare assenze e volti prima non contemplati. Le didascalie scritte o orali, riporteranno, affiancati a quelli ben noti e magari di lunga eredità dei nonni o dei componenti più anziani,  nomi dal suono per nulla familiare. Tornano spesso quei nomi e quei volti, immortalati in diversi momenti della giornata, occupati nelle più svariate mansioni. Ci verrà detto che sono “le badanti” dei nonni. Con lo stesso termine c’erano state indicate nelle prime foto dell’album, quelle figure che, a fine Ottocento, accudivano e sorvegliavano i bambini di casa, perché non si facessero male. Riutilizzare quel termine è chiaramente improprio, da un lato riduttivo e dall’altro dispregiativo.

Ma chi sono queste persone e perché possono rientrare, a pieno titolo, nel monumento privato consacrato a testimoniare la memoria organica di un gruppo familiare? Si calcola che il numero dei lavoratori stranieri impiegati in lavori domestici e di assistenza sia più che quadruplicato rispetto ai dati del 1998. Se in quell’anno i lavoratori erano 208.407 di cui 95.184 stranieri (ovvero il 45,6 % degli stranieri regolarmente presenti sul territorio italiano), la stima del 2003 parla di un totale di 588.701, di cui 490.678 sono lavoratori stranieri (ovvero l’83,3% sul totale). Nella sanatoria del 2002 su 700.000 domande di regolarizzazione, 190mila si riferivano a rapporti di lavoro domestico e 140mila ad aiutanti domiciliari. Tra le donne, che in base ai dati Inps del dicembre 2002, rappresentano l’84% delle presenze dei lavoratori domestici extracomunitari, la cittadinanza prevalente nel gruppo di queste richieste è stata l’Ucraina, 28,6% (Caritas 2005). Si è registrato, negli ultimi decenni, un aumento sensibile del numero di donne che emigrano per ragioni economiche o politiche e non per ricongiungimento familiare. E’ stato calcolato che le donne salariate nell’area euroatlantica costituiscono ormai tra il 20 e il 60% della popolazione immigrata. Tra le ragioni di questo incremento sono sicuramente da considerare, da un lato, il ruolo sempre più importante rivestito dalle donne nei mercati del lavoro delle aree di provenienza e quindi l’esposizione sempre maggiore ai dissesti socioeconomici di quei paesi, dall’altro, l’aumento esponenziale della richiesta di forza lavoro femminile, in conseguenza di alcune trasformazioni strutturali nelle economie e delle società dei paesi di arrivo: terziarizzazione dell’economia, aumento dell’informalità delle attività lavorative e della domanda di lavoratori scarsamente retribuiti, crescita dell’esternalizzazione dei compiti di cura e assistenza dovuti all’aumento tendenziale dell’invecchiamento della popolazione occidentale, all’incremento progressivo della partecipazione femminile dei paesi ricchi al mercato del lavoro, alla trasformazione dei modelli familiari e ai limiti dell’offerta pubblica di servizi del welfare nazionale. Si assiste –è stato scritto – ad un trasferimento su scala globale della divisione asimmetrica dei compiti di cura tra i generi, in cui nei paesi più poveri la donna interpreta il ruolo tradizionale della moglie con il carico di doveri d’accudimento.

Le funzioni di cura vengono esternalizzate dalle famiglie occidentali e diventano beni di mercato. Se da un lato, per il caso italiano, è stata osservata la tenuta di una struttura solidaristica intergenerazionale e una ridistribuzione tra le generazioni femminili dei compiti di cura, dall’altro, a fronte della nuclearizzazione e dell’infragilimento delle reti familiari, è innegabile la tendenza sempre maggiore, anche in Italia, a riferirsi al mercato dell’assistenza privata. Gran parte dell’immigrazione femminile contemporanea risponde a questa domanda e si trova impiegata in un segmento di mercato del lavoro che sconta storicamente un deficit di definizione giuridica e un alto tasso di arbitrio e “familizzazione”, sulla scorta di una secolare macchina di rappresentazione naturalizzata dei ruoli femminili e di svalorizzazione sistematica del lavoro di cura di cose e persone, svolto dalle donne all’interno della casa. A questo, si aggiunge la stigmatizzazione e la precarietà delle condizioni dell’immigrazione. Chi si è preoccupato di analizzare le dimensioni di questo specifico ambito lavorativo, descrive una partita che continua a giocarsi tra la necessità urgente di un riconoscimento di valore del lavoro di cura nello spazio pubblico e la prosecuzione di prassi e percezioni che rimandano all’idea dell’obbligazione morale relegata alla sfera privata. Il quadro della situazione è per questo contraddistinto da ampie tinte di nero e grigio, sia dal lato della formalizzazione dei rapporti famiglia-assistenti domiciliari, sia dal lato del carico di impegno richiesto alle lavoratrici.

Il sistema pubblico, più che alla creazione di nuovi servizi, si è limitato in questi anni a potenziare il sistema dei trasferimenti monetari alle famiglie, delegando ad esse la responsabilità del reclutamento di personale per l’assistenza domiciliare. La preferenza accordata alla cultura della domiciliarità e la lenta erosione o riconversione delle competenze del welfare nazionale, hanno prodotto un volume di risparmio significativo per il settore pubblico, che oggi deve concentrare i suoi sforzi nell’integrazione dell’assistenza domiciliare privata nella rete pubblica dei servizi per la protezione e l’accudimento degli anziani, nella promozione di qualità e nel miglioramento delle condizioni di lavoro, nel favorire la regolarizzazione delle lavoratrici immigrate e l’emersione del lavoro nero e grigio. Per il sostegno e la qualificazione professionale dell’assistente domiciliare privata, sono state studiate forme di tutoring domiciliare prestato da operatori sociosanitari o da assistenti dei servizi tutelari che si preoccupino dell’assistenza tecnica, dello studio concordato di un piano di cura e del suo monitoraggio, dell’organizzazione di gruppi di formazione, aggiornamento, mutuo aiuto e della mediazione con la rete di servizi pubblici presenti sul territorio (Emilia Romagna: Progetto Madreperla, Biella: Progetto Premiata Fabbrica, Agenzia Solidale per il lavoro domestico, Consorzio Intercomunale di Possiaco: Casa amica notte e giorno, Comune di Arezzo).
Nella stessa direzione, il settore pubblico dovrà predisporre pacchetti d’intervento e affiancamento gratuiti sempre più flessibili per compensare e ridurre i disagi dei regimi di coresidenza e i carichi di lavoro eccessivi che minano la salute fisica e mentale dei caregiver, nella direzione di un intervento misto pubblico-privato, attraverso assistenza domiciliare, ricoveri di sollievo, attività ricreative pomeridiane presso centri diurni per anziani. Con le medesime finalità andranno favorite formule abitative congeniali alla coresidenza e le soluzioni che la domotica e i nuovi sistemi d’automazione mettono al servizio delle disabilità e delle non autosufficienze degli anziani.

Anche lo spazio dell’incontro domanda-offerta, per non essere lasciata a pratiche evasive dei diritti-doveri, richiede con urgenza un intervento pubblico di regia multilaterale tra i soggetti istituzionali pubblici e privati, ovvero gli sportelli sociali all’interno del segretariato sociale degli enti locali (Comune di Modena: Progetto Serdom, Consorzio di Possiasco), i servizi per l’impiego predisposti dalla Province (Province di Parma e Ferrara: Centro risorse, Provincia di Firenze: Sos famiglia), i patronati sindacali e le agenzie interinali (Trento: Promocare, Roma: Insieme si può). Perché non regni l’improvvisazione e l’arte d’arrangiarsi e affinché le assistenti domiciliari abbiano gli strumenti professionali per far fronte alle diverse esigenze del lavoro di cura, dovranno essere predisposti percorsi di formazione che tengano conto della necessaria conciliazione vita privata-lavoro, con forme di agevolazione monetaria o di compensazione delle spese legate allo studio, e, soprattutto, decidere per un riconoscimento ufficiale della figura professionale dell’assistente familiare a livello nazionale (Regione Liguria: Lavoro doc. Buone prassi nel lavoro di cura, Regione Toscana; Emilia Romagna; Campania; Provincia di Ferrara: Qualità del lavoro di cura nelle famiglie ferraresi, Comune di Milano-Fondazione Casa della Carità A. Abriani).

Un robusto intervento va riservato da un lato allo snellimento delle pratiche burocratiche per l’accesso al permesso di lavoro per le lavoratrici immigrate e dall’altro per l’emersione delle informalità e delle inadempienze dei doveri contrattuali: versamenti previdenziali per un numero di ore inferiori a quelle realmente lavorate, monetizzazione delle ferie (pagate con rinuncia al godimento delle stesse), restrizione dei permessi settimanali e dei giorni di riposo, evasione della tredicesima e del Tfr. Per alleviare i costi effettivi della regolarizzazione sono stati sperimentate, in diverse regioni italiane, forme di defiscalizzazione sottoforma di rimborso parziale del versamento dei contributi Inps della lavoratrice (Comune di Venezia; Comune di Arezzo; Provincia di Siena: Un euro all’ora) e si è implementato il ricorso ai buoni e agli assegni di cura. Per quanto attiene a questi ultimi, per evitare che i finanziamenti vadano ad alimentare il mercato sommerso e che non contribuiscano ad una ridistribuzione più equa dei doveri di cura tra i generi, sempre più andranno predisposte forme vincolate di erogazione che prevedano contratti assistenziali con obiettivi specifici dichiarati, termini cronologici di revisione dei contratti, obblighi di riferimento a realtà accreditate e sostegni a favore dell’autorganizzazione delle lavoratrici stesse in cooperative o aziende di erogazione di servizi. Una seria e capillare attività di fund raising e di coordinamento dei diversi soggetti di un territorio, potrà aggiungere ai fondi delle politiche sociali, quelli relativi alla formazione professionale o alla qualificazione dell’impiego, i fondi per l’inserimento al lavoro delle fasce deboli, i bilanci delle Asl e dei distretti, finanziamenti delle fondazioni bancarie, le economie disponibili nel fondo sociale europeo e in altri programmi sovranazionali.

Il sistema pubblico deve tornare ad interpretare, nelle forme nuove che le trasformazioni socioeconomiche gli impongono, un ruolo di responsabilità e progettualità, di sostegno e indirizzo, per non lasciare alle asimmetrie di sistema e ad accorgimenti miopi e troppo deregolamentati il destino dei diritti sociali, e per quanto riguarda lo status delle assistenti domiciliari immigrate ma non solo di esse, il profilo e i contenuti delle nuove cittadinanze.

 

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