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Synergia Magazine

L’emergenza non basta: regolamento e sperimentazione restano indispensabili

di Valerio Langè
I dati resi disponibili da GoogleTrends circa le ricerche relative allo smart working mostrano come l’interesse per il tema abbia visto un picco nella seconda settimana di marzo, crescendo impetuosamente rispetto a fine febbraio. L’interesse è poi calato, seguendo quasi perfettamente l’andamento delle ricerche relative al coronavirus, attestandosi poi da inizio aprile a livelli più bassi ma comunque superiori al periodo precedente all’emergenza sanitaria: si potrebbe trattare di quel “new normal”, di quella nuova normalità, che molti prevedono per la fine dell’emergenza.

Questi dati mostrano come lo smart working stia vivendo un periodo di grande interesse e una diffusione in via di consolidamento, tanto nella pratica quanto presso l’opinione pubblica. Il lavoro agile è infatti uno degli strumenti indicati dal Legislatore per fare fronte all’emergenza sanitaria, tanto durante i momenti di maggiore criticità quanto nelle fasi successive e tanto nel settore privato, quanto nella Pubblica Amministrazione. Il lavoro agile è infatti l’attuale modalità di lavoro ordinaria della Pubblica Amministrazione.
Vi sono tuttavia alcune domande ricorrenti circa il futuro: si continuerà a lavorare in questo modo o si tornerà alle modalità tradizionali? E se si adotterà lo smart working in via definitiva, quali aggiustamenti occorreranno?

Per rispondere a queste domande occorre fare un’osservazione preliminare: la situazione di necessità e lo snellimento delle procedure hanno consentito una facile diffusione di questo modo di lavorare, per molti nuovo, tanto che alcuni hanno parlato di “esperimento di massa”, ma il modo di lavorare che tanti dipendenti pubblici stanno sperimentando in questo periodo non è lavoro agile “autentico”, per almeno tre ragioni. Si tratta di un lavoro agile obbligatorio (mentre, come indicato dalla legge 81/2017, il lavoro agile prevede un accordo tra le parti), che non prevede alcuna flessibilità di luogo, perché si lavora da casa, e che non è stato preceduto da approfonditi momenti di pianificazione e di formazione, dovendo essere avviato in tempi molto rapidi. Insomma, si tratta di uno smart working obbligatorio, casalingo e spesso arrangiato. Anche per questo, sono parecchie le difficoltà che molti lavoratori “agili” sperimentano: non avere orari, fare fatica a staccare, trovare difficoltà a concentrarsi, iniziare prima e finire dopo, provare sensi di colpa per non rispondere alle richieste tanto tempestivamente quanto si vorrebbe. A cui si aggiungono le difficoltà relative al lavoro in squadra: abituarsi a collaborare a distanza e imparare a fare video riunioni efficaci. Si tratta di difficoltà che non sminuiscono i vantaggi del lavoro agile, ma che non possono essere sottovalutate, come fanno rilevare alcune recenti prese di posizione dei sindacati.

Tali difficoltà richiamano però due aspetti fondamentali, da tenere presente per il futuro.
In primo luogo, non è possibile pensare di lavorare in questo modo, una volta che l’emergenza sanitaria sarà finita, senza un minimo di regolamentazione: lo snellimento delle procedure è positivo, tuttavia un quadro in cui siano definiti alcuni aspetti rimane necessario. Lo testimonia il fatto che una delle ricerche correlate allo smart working è “buono pasto”, sempre in base ai dati forniti da GoogleTrends.
In secondo luogo, al termine dell’emergenza sanitaria, sarà fondamentale avviare comunque una fase sperimentale prima di pensare a un’adozione definitiva dello smart working.
Infatti, se è bene fare tesoro di quanto si è potuto apprendere durante l’emergenza, non sarà possibile considerare le esperienze di questi mesi come un esperimento valido per comprendere l’ordinarietà. Anche solo per il fatto che si tratta di uno smart working obbligatorio, casalingo e arrangiato; occorre invece individuare e sperimentare modelli su base volontaria, con minori vincoli di luogo e accompagnati da adeguati interventi circa le dotazioni tecnologiche e la formazione del personale.
 

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