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Synergia Magazine

Immigrazione e integrazione socio-lavorativa: l'importanza della dimensione locale

di Giovanni Viganò e Cecilia Pennati

 Mutamento Sociale n.18 - Gennaio 2008

Nel presente contributo si è deciso di presentare alcune riflessioni relative non tanto al perché la costruzione di un paniere di indicatori possa essere uno strumento utile ed efficace per studiare le molteplici sfaccettature del complesso concetto di integrazione socio-lavorativa degli immigrati, quanto invece riguardanti le motivazioni che sottostanno alla scelta di creare un paniere di indicatori che possa indagare il fenomeno a livello locale e non più dunque solamente nazionale. Le seguenti riflessioni prendono spunto dall’esperienza maturata da Synergia nel corso dal recente lavoro svolto all’interno della partnership internazionale Alameda per il progetto Equal- Koinè.
Prendendo dunque come assodata l’utilità di un paniere di indicatori per lo studio dell’integrazione socio-lavorativa degli stranieri, ci si vuole soffermare su due tra le principali motivazioni che hanno portato alla scelta di spostare lo sguardo dal nazionale al locale:
- la dimensione locale può essere vista come ambito di studio privilegiato in quanto luogo in cui i processi d’integrazione prendono effettivamente forma attraverso l’interazione tra gli individui e i luoghi del vivere quotidiano. È nella dimensione locale che si generano le criticità di vita e si cumulano le risorse e dove, soprattutto, le politiche vengono implementate;
- il ruolo sempre più centrale ricoperto dall’Unione Europea per quanto riguarda le spinte alla creazione di una politica comunitaria in materia di immigrazione porta con sé la necessità di disporre a livello europeo sia di una definizione condivisa del concetto di integrazione sia di strumenti di analisi e rilevazione di dati affidabili e comparabili non solo a livello nazionale ma anche locale.

La dimensione locale come ambito di studio privilegiato
Per quanto l’immigrazione sia un fenomeno ad evidente carattere globale, essa ha sicuramente ricadute incisive anche a livello locale. Come suggerito da Caponio [2006, p.9] la migrazione è sempre una migrazione fra luoghi: “la dimensione locale è fondamentale nelle relazioni sociali del migrante, che si concretizzano in un intreccio continuo d’interazioni e contatti tra contesti d’origine e di destinazione, tra paesi o città più o meno distanti fra loro”. L’integrazione degli immigrati stranieri nei loro contesti di vita e di lavoro non avviene quindi in un vacuum, ma si concretizza in rapporti di vicinato, in un uso più o meno visibile degli spazi della residenzialità e del lavoro, nell’appropriazione e talvolta anche nella re-interpretazione di luoghi pubblici (parchi, piazze, crocicchi, ecc.).
La dimensione spaziale del processo migratorio viene quindi ad assumere importanza centrale nel momento in cui si parte dal presupposto che il rapporto uomo-spazio da un lato incida sulla costruzione identitaria degli individui e, dall’altro, sia veicolo della creazione di relazioni fra le persone. Così come i migranti contribuiscono alla trasformazione dello spazio urbano per via delle pratiche di utilizzo dei luoghi e delle peculiari relazioni di socialità, anche la dimensione spaziale stessa in cui essi vivono, con la sua storia, la sua cultura, le routine e le pratiche sedimentate dell’agire sociale, incide sulla loro vita e sulle possibilità di integrazione. Si pensi, per esempio, alla condizione di svantaggio che può derivare dal vivere in quartieri con un’immagine pubblica negativa (come ad esempio i cosiddetti “quartieri in crisi”) dove, come ha sottolineato Mugnano [2004], la stessa residenza può divenire un fattore di esclusione e penalizzazione: “l’identificazione negativa (che ad essi si accompagna) si trasforma in una vera e propria stigmatizzazione territoriale” [Wacquan: 1993], divenendo un handicap che il soggetto deve ogni volta superare, instaurando così un circolo vizioso.
Proprio per la sua caratteristica di strutturarsi a livello locale ed assumere dunque caratteristiche particolari in base ai contesti, si potrebbe obiettare che non sia possibile comparare processi così diversi fra loro. In realtà, lo scopo della creazione di un paniere di indicatori è proprio quello di individuare e mettere a fuoco quelle dimensioni che concorrono a definire caratteristiche e specificità della realtà considerata. L’analisi territoriale parte dunque dal presupposto che le relazioni fra gli individui o tra diverse popolazioni non possano prescindere dalla dimensione spaziale. Studiare il locale serve a capire le relazioni che esistono tra le varie sfere di vita dell’individuo, poiché è nel contesto locale che queste maggiormente emergono e si intersecano. In quest’ottica diventa dunque interessante studiare il processo d’integrazione dei migranti a livello locale, cioè là dove questo si realizza e prende forma. La città diventa quindi ambito di studio privilegiato per poter cogliere le diverse sfaccettature assunte dal processo di integrazione proprio perché su piccola scala maggiormente emergono le interazioni tra i diversi ambiti della vita degli individui. Infine, come si è già accennato, è la dimensione locale il reale terreno di prova delle politiche (siano essere europee, nazionali o appunto locali), dove emergono contraddizioni, fallacie e punti di forza.

Il ruolo dell’Unione Europea
Nell’ultimo decennio il processo di costruzione di una politica comunitaria in materia di immigrazione ha registrato un lento ma continuo avanzamento. Inizio di tale processo può essere considerato il Trattato di Amsterdam, che sanciva definitivamente il riconoscimento della popolazione straniera come componente strutturale della popolazione europea e l’importanza della creazione di una politica comune in materia di immigrazione e asilo politico, mentre il più recente contributo ufficiale può essere individuato nella Comunicazione 389/2005 sulla costruzione di un’agenda comune per l’integrazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo. In essa, riprendendo i principi guida di Tampere, vengono suggerite nuove azioni a livello sia nazionale che europeo, vengono proposti nuovi modi per garantire la coerenza fra le azioni UE e quelle nazionali e gli Stati membri sono invitati a moltiplicare gli sforzi per definire strategie nazionali comuni di integrazione [COM(2005) 389].
È però da notare che uno dei principali fattori che impedisce il costituirsi di un’organica politica comunitaria in materia di migrazioni e asilo, oltre sicuramente alla presenza di molte diversità sostanziali nei diritti nazionali degli Stati membri e alla poca disponibilità di questi ultimi a rinunciare a parte della propria sovranità nazionale riguardo ad un tema così delicato, è la presenza di un dibattito ancora aperto e molto ampio su che cosa debba intendersi, in concreto, per integrazione dei cittadini dei paesi terzi e, soprattutto, su quali misure possano essere prese in esame per rilevarla.
Se è vero che esiste ormai a livello europeo una definizione teorica di integrazione, legata a quanto emerge sia nei trattati che nelle comunicazioni della Commissione del 2003 e del 2005, è però da sottolineare come questa definizione generale possa poi essere declinata in modalità molto diverse nei contesti nazionali e locali. Come è stato evidenziato da Golini [2006], il termine “integrazione” rimanda, infatti, ad uno spettro molto ampio di accezioni, che possono variare nel tempo e nello spazio a seconda del Paese considerato, delle circostanze storico-politiche e dei caratteri del fenomeno migratorio. Inoltre la spazializzazione dei problemi sociali comporta una visione degli stessi come interconnessi tra loro e quindi la nascita di approcci che si rivolgono alla loro natura multidimensionale.
Quanto detto risulta evidente se si guarda ai molteplici modi con i quali l’integrazione degli immigrati è affrontata a livello comunitario, ricoprendo un ruolo centrale in diverse politiche dell’Unione: dalle strategie per l’occupazione, agli affari sociali e le pari opportunità (ponendo l’accento sulla prospettiva di genere), alle politiche urbane e di sviluppo locale (ponendo l’accento sulla coesione sociale). Proprio guardando ai processi di europeizzazione delle politiche nazionali in materia di immigrazione e all’implementazione a livello locale delle iniziative comunitarie si può notare come, di fatto, l’integrazione sia un concetto dai confini sfumati: è infatti nelle specificità locali che maggiormente emergono problemi, vincoli ed opportunità, legati alle specificità della storia migratoria dei luoghi e alla definizione del fenomeno data dagli attori locali.
È comunque da sottolineare che, nonostante il dibattito sul concetto di integrazione sia ancora in corso, si possono notare, come ha evidenziato Gregori [in Gregori, Mauri: 2005], alcune linee teoriche che accomunano molti dei diversi panieri di indicatori già costruiti e che, dunque, almeno per quanto riguarda alcune dimensioni del processo, possono essere considerate come condivise dalla comunità scientifica.
Un ulteriore nodo critico riguarda inoltre la scarsità di dati statistici affidabili per lo studio dei processi migratori e la mancanza di omogeneità degli stessi sul territorio europeo. Questa carenza, limitando le possibilità di comparazione tra diverse realtà nazionali/locali, rende più difficile il lavoro di progettazione di politiche di integrazione coerenti sull’intero territorio europeo.Con lo sviluppo di un’agenda politica europea in tema di immigrazione, risulta quindi sempre più evidente la necessità di adottare un approccio comparativo allo studio dell’integrazione degli immigrati volto a facilitare la comparazione tra diverse realtà nazionali e che renda possibile la costruzione di un quadro organico di informazioni sul fenomeno.
La decisione di costituire un insieme d’indicatori sull’integrazione socio-lavorativa degli immigrati a livello locale parte dunque dall’idea di approntare uno strumento di monitoraggio nel tempo e su piccola scala che possa avere una funzione informativa sulle dinamiche a livello micro-locale dei processi migratori e dei loro esiti. Un tale strumento, inserendosi all’interno del corrente dibattito a livello comunitario rispetto alla costruzione di indicatori sufficientemente robusti e affidabili, si propone dunque come una base conoscitiva, da affiancare possibilmente ad altre tipologie esplorative della realtà sociale, che possa servire da punto di partenza per la progettazione di politiche e servizi volti a favorire proprio processi di integrazione socio-lavorativa.
Dato che, come si è visto, non è ancora presente una definizione condivisa del concetto di integrazione e non è neppure possibile ricostruire strategie comuni nelle diverse realtà locali per affrontare la questione dell’integrazione degli immigrati (campo tra l’altro molto difficile proprio per la specificità che i fenomeni assumono a livello locale), risulta maggiormente importante tentare di costruire uno strumento in grado di fornire un quadro teorico e metodologico transnazionale per lo studio a livello locale del fenomeno.

Alcune conclusioni
Questa duplice chiave di lettura del fenomeno migratorio che chiama simultaneamente in causa sia il macro che il micro-livello permette ora di tracciare un quadro di sintesi.La costruzione di un paniere di indicatori per il monitoraggio dell’integrazione socio-lavorativa e della lotta alla discriminazione della popolazione immigrata a livello locale non si caratterizza per essere un semplice esercizio di stile, produzione scientifica di uno strumento fine a se stesso. La sua potenzialità, il suo vero valore aggiunto sta nello sforzo teorico di individuare quelle dimensioni, quelle zone d’ombra, che spesso possono sfuggire agli occhi dei fruitori delle statistiche ufficiali sui fenomeni migratori nazionali e transnazionali. I macro-dati nascondono spesso proprio le contraddizioni delle incertezze normative (si pensi per esempio ai dati sulla partecipazione lavorativa degli immigrati, sui permessi di soggiorno, ecc.). Diviene pertanto necessario ri-focalizzare il punto di osservazione su un livello più prossimo all’oggetto di indagine, un livello che permetta di mettere a fuoco i micro-fenomeni che si ingenerano nella quotidianità di un territorio omogeneo e concettualmente identificabile e definibile per caratteristiche e peculiarità distintive.E’ nelle città, nei quartieri, nelle strade che i nodi vengono al pettine, che le contraddizioni non sciolte e i ritardi accumulati a livello apicale nella sfera del decisore politico nazionale o comunitario si fanno sentire, non solo sotto forma di conflitti, ma anche di modelli di nuove prassi di soluzione e convivenza elaborate e sperimentate dal basso, che nelle loro formulazioni più efficaci potranno essere acquisite e messe a sistema dai livelli centrali.


Bibliografia

Caponio T. (2006), Città italiane e immigrazione. Discorso pubblico e politiche a Milano, Bologna e Napoli, Il Mulino, Bologna.

Golini A. (a cura di) (2006), L'immigrazione straniera: indicatori e misure di integrazione, Il Mulino, Bologna.

Gregori E. (2005), Un paniere di indicatori per il monitoraggio dell’integrazione sociolavorativa degli immigrati, in Cologna D., Gregori E., Lainati C., Mauri L., Dinamiche di integrazione sociolavorativa di immigrati, Guerini e Associati, Milano.

Mugnano S. (2004), Quartieri periferici in città globali? Ridefinizione concettuale del problema, AIS-Paper presentato al convegno “Governo delle città e trasformazioni urbane”, Università della Calabria- Arcavacata di Rende.

Wacquant L. J. (1993), “Urban Outcast: stigma and division in the black American ghetto and French urban periphery”, in Journal of Urban and Regional Research, September, pp. 366-83.

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