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Synergia Magazine

Famiglie con bambini 0-3 anni: scelte di organizzazione tra criticità e desiderio partecipativo

di Giovanni Viganò

Mutamento Sociale n.10 - Marzo 2006

Se il tema della famiglia diventa in questi giorni materia di scontro politico e in particolar modo le famiglie con figli diventano uno dei temi principali su cui le opposte fazioni misurano la bontà delle proprie idee e dei propri modelli di intervento sociale (un articolo di Daniela Del Boca su www.lavoce.info ne esamina a fondo i contenuti*), ciò deve sicuramente voler dire due cose: la prima è che senz’ombra di dubbio la popolazione delle famiglie con bambini piccoli è diventata un bacino elettorale molto appetibile, la seconda è che negli ultimi decenni in particolare, “fare famiglia in Italia” sta diventando sempre più complicato.

Le nuove dinamiche socio-demografiche che hanno preso piede nella società italiana dopo la seconda transizione demografica, l’incapacità della classe politica di impostare negli anni un serio modello di sostegno della famiglia, i vincoli sempre più stringenti a cui le amministrazioni locali hanno dovuto far fronte e l’evoluzione dei mercati del lavoro e dell’abitazione, hanno fatto sì che la famiglia e l’ambiente a lei esterno mutassero nel tempo secondo traiettorie divergenti e spesso conflittuali, sottoponendo i nuclei stessi a forti pressioni ri-organizzative, in un continuo contesto emergenziale. Traumi ed inefficienze del perdurare di questi fattori si sono inoltre riversati -come spesso accade- sui soggetti più deboli che prendono parte a questo gioco: i bambini.

Indagini multi-scopo, studi e sondaggi si sono fino ad oggi fatti carico di chiedere ai genitori desideri e aspettative sulla propria condizione attuale e sul proprio futuro, di elencare “cosa non va” e cosa invece funziona. Ma qualcuno ha mai idealmente chiesto a un bambino piccolo come sia il crescere con genitori già ultra-trentenni e nonni over-65 che necessitano spesso più attenzioni e cure di loro stessi?
Chi si è mai preoccupato di chiedere a qualcuno di quei fortunati bambini che hanno trovato posto in un asilo nido pubblico se le educatrici assolvono ai loro compiti o se le strutture, i giochi, i pasti sono esattamente quanto loro si aspettano?
Chi ha pensato di chiedere a qualcuno di questi bambini se i marciapiedi sui quali si districano i loro passeggini, siano sufficientemente spaziosi e sicuri, al riparo dalle esalazioni venefiche del traffico cittadino?
E ancora, qualcuno si è mai preso la briga di chiedere loro se il verde urbano e le aree gioco all’aperto corrispondano esattamente ai loro desideri, se altalene e scivoli funzionino a dovere e se nei prati e tra le vasche di sabbia l’unico gioco non sia schivare i bisogni dei cani?
Beh probabilmente qualcuno glielo avrà pur chiesto ma dubito che a domanda, vista la tenera età degli intervistati, sia seguita, nonostante gli apprezzabili sforzi, una risposta.

Terminali silenziosi di una realtà che non possono controllare, i bambini piccoli vivono in un ambiente che decide per loro e con il quale non sono in grado di comunicare. Mettere in comunicazione coloro che hanno l’onere di programmare spazi, strutture e tempi della città con i soggetti più vulnerabili che utilizzano, vivono queste dimensioni, non è cosa semplice; l’unica scappatoia che rimane è rivolgersi ai soli soggetti che possono intermediare questo rapporto e che, forse, meglio interpretano il linguaggio afono di un bambino: i genitori.

Chiedere a un padre o una madre cosa sia meglio per il proprio figlio rischia tuttavia di essere, come già detto, un esercizio inutile, per quanto interessante, se viene concepito in un’ottica prettamente elencativa dei propri desideri o delle proprie aspettative.
Il rapporto dialettico tra un’amministrazione comunale e le famiglie deve essere invece ricalibrato in un’ottica partecipativa, portando a conoscenza i genitori dell’esistenza di vincoli strutturali e rigidità esogene difficilmente abbattibili, ma sicuramente modellabili laddove la proposta, il consiglio formulati siano compatibili nei costi e proficui nei benefici collettivi attesi.

Una ricerca svolta da Synergia** in quest’ultimo anno sui territori di quattro comuni dell’hinterland milanese ha avuto proprio questo obiettivo: promuovere lo spirito partecipativo delle famiglie con bambini di età compresa fra 0 e 3 anni, reimpostando il procedimento di indagine dalla semplice valutazione, all’interpretazione della valutazione, “provocando” padri e madri con proposte di miglioramento, e stimolando il loro spirito partecipativo nelle scelte di organizzazione dei servizi per bambini.
I risultati che ne sono emersi hanno svelato un’inaspettata voglia di prendere parte alle decisioni, di condividere le proprie idee nella riprogettazione degli spazi e delle strutture e nella sincronizzazione dei tempi dei servizi, per render la città in cui vivono uno spazio vivibile per sé e per il proprio bambino.

Le aree di criticità a cui le famiglie con bambini piccoli prestano maggiormente attenzione sono la creazione e la cura di verde pubblico, che vedono spesso trascurato e troppo poco modellato a misura di bambino, soffrono la problematica dell’inquinamento urbano e propongono la creazione di aree pedonali e percorsi di mobilità più sicuri, privi di barriere architettoniche, capaci di evitare il traffico cittadino.
L’altra forte area su cui insistono è quella dei servizi all’infanzia, asili nido in primis. Chiedono innanzitutto di essere più informati ed essere resi più partecipi della loro strutturazione, lamentano mancanza di posti, lungaggini ed iniquità nell’accesso e nei criteri di selezione, ma apprezzano gli sforzi profusi dalle amministrazioni e dai servizi stessi nel tentativo di flessibilizzare orizzontalmente e verticalmente giorni ed orari delle prestazioni rese, mentre propongono di estendere il supporto alla cura e custodia dei bambini anche ai mesi estivi, luglio soprattutto. 

Parlando direttamente con le stesse famiglie si percepisce la voglia si essere presenti e al fianco delle proprie amministrazioni, in un quadro socio-demografico in cui la famiglia subisce le pressioni di una realtà che vede le madri per necessità o per scelta fortemente impegnate sul mercato del lavoro, tanto che oramai lo scenario “normale” di sovrapposizione fra vita professionale e genitorialità vede le madri non più scegliere tra lavoro o vita domestica, quanto tra lavoro a tempo pieno e lavoro part-time.

Se il contesto socio-economico di riferimento sta cambiando ed in ottica futura continuerà a cambiare, ciò che rimane saldo sono i principi, i valori classici del modello familistico italiano, in cui i genitori della coppia, i nonni del bambino, continuano a giocare un ruolo fondamentale nella cura quotidiana ed occasionale della prole, sia quando si tratta semplicemente di accompagnare il bambino al nido, sia quando si tratta della custodia quotidiana dello stesso.

Le evoluzioni sistemiche del quadro demografico italiano che vedono il ritardo continuo delle tappe della transizione allo stato adulto, tra le quali di conseguenza anche l’età al primo parto, e il radicamento del modello familiare monofiliare diventare le direttive “normali” di strutturazione del nucleo familiare, gettano sul futuro pesanti ombre e aprono la strada a preoccupanti spunti di riflessione.
Quanto questo modello potrà ancora reggere, e fino a quando esso sarà in grado di sopperire alle lacune del sistema pubblico di sostegno alla famiglia, se le prospettive che emergono per il futuro sono di genitori inseriti a pieno regime sul mercato del lavoro, che ormai ultratrentenni mettono al mondo il loro primo figlio, di nonni prossimi alla soglia dei 70-75 anni per i quali le risorse da mettere a disposizione di figli e nipoti sono ormai scarse, tanto più che diventano essi stessi bisognosi di assistenza e supporto da parte di quello che sempre più spesso sarà il loro unico figlio.

Nell’attesa che il quadro si faccia più nitido e che gli organi politici centrali siano in grado di dare una reale impronta ad un vero modello di sostegno della famiglia, la migliore soluzione non è che quella di continuare, o meglio cominciare, ad ascoltare le famiglie ed i bambini stessi, proprio là dove queste si muovono, vivono: nelle città, nei quartieri, nelle strade.  Gli interlocutori principali di questo bisogno di comunicazione e partecipazione non possono che essere le Amministrazioni Comunali e l’esempio prima riportato dimostra che questo esercizio difficilmente cadrà nel vuoto, visto il desiderio, la necessità che le famiglie stesse hanno di emergere dal silenzio in cui sono relegate.

 

* Daniela Del Boca, La famiglia nei programmi elettorali, www.lavoce.info
** Progetto Fatecelosapere, Indagine sui servizi per le famiglie con bambini 0-3 anni nei Comuni di Bresso, Cinisello Balsamo, Cormano e Cusano Milanino.


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