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Synergia Magazine

Covid-19, una finestra sul lavoro del futuro

di Paolo Fossati
Ieri, mentre stavamo preparando uno dei nostri prossimi seminari on-line, ci siamo ricordati di uno schema riassuntivo delle principali caratteristiche del lavoro del futuro, pubblico o privato non fa differenza. Lo abbiamo visto la prima volta qualche anno fa su un manuale di organizzazione aziendale. Ci siamo dunque messi alla ricerca.
 
Abbiamo guardato a destra e a manca, scartabellato libri e consultato vecchi appunti, navigato in internet, ma nulla: nessuna traccia del fatidico schema. Poi, come spesso accade ai diversamente ordinati, bum, colpo di fondello e lo schema lo abbiamo ritrovato in un recentissimo report di Gallup, la società americana di statistica più nota al mondo.
 
Riteniamo sia indispensabile analizzarlo con cura. Nella colonna di sinistra sono riportati gli elementi che hanno contraddistinto il lavoro del passato, potremmo anche dire pre Covid, mentre a destra gli elementi di quello post Covid.
 
Dategli una lettura, e così lo commentiamo insieme.




Come detto si tratta, più e meno, delle stesse peculiarità che ritroviamo anche negli studi di qualche anno fa, che tuttavia con l’emergenza in atto hanno subito un’accelerazione e si sono imposte (o stanno per imporsi) nella nostra vita lavorativa. Chi resterà ancorato alla colonna di sinistra sarà destinato a vivere un’esperienza professionale con il freno a mano tirato e a trascinarsi stancamente tutte le mattine fino alla pensione. Vale anche per chi lavora nella Pubblica Amministrazione? Certo che sì! Magari da noi ci vorrà un po’ più di tempo prima che questi principi prendano spazio, ma è meglio farsi trovare prepararti.
 
Quindi, se fino a ieri parlavamo di “busta paga” o “retribuzione” (qualcuno si ostina a dire “salario”, mygod…), da domani il lavoro non sarà più solo un lavoro, cioè uno strumento necessario ancorché inevitabile per portare a casa lo stipendio, ma dovrà diventare – almeno per noi che vogliamo goderci il piacere dell’esistenza 😉 – un’attività che svolgeremo con uno “scopo di ordine superiore”, capace di stimolare le nostre migliori energie. E guardate che per noi dipendenti pubblici è molto semplice lavorare per una mission: non dobbiamo fare nessuno sforzo creativo, perché è già scritta in Costituzione. Siamo civil servant, servitori della collettività. Quindi il nostro scopo ce lo dobbiamo solo ricordare, come hanno fatto encomiabilmente i medici e gli infermieri a partire da fine febbraio. Siamo lì per i cittadini, per soddisfare i loro bisogni. Ovviamente c’è modo e modo di essere al servizio della comunità. E qui sì che c’è tanto da lavorare: non a caso le soft-skills stanno entrando prepotentemente anche nella P.A. Vivaddio!
 
Scorrendo l’elenco troviamo da una parte la “mia soddisfazione” e dall’altra la “mia crescita”. E allora ci viene in mente la teoria che va sotto il nome de “l’organizzazione che apprende”, sviluppata trent’anni fa da Peter Senge e ben illustrata nel manuale “La quinta disciplina”. Una bibbia… Pensate, trent’anni fa. E dovevamo aspettare il Covid!
 
Sulla terza caratteristica (il ruolo del leader) non ci soffermiamo, perché ne abbiamo già fatto cenno in un post precedente. Andiamo avanti.
 
Ah, la valutazione annuale, il pagellino, come a scuola… Anacronismo allo stato puro. Siccome abbiamo fatto riferimento alla crescita continua e alla nuova leadeship, come possiamo pensare di progredire con un’unica valutazione in 12 mesi? Ecco perché si parla di feedback, somministrati con regolarità, sincerità, e con l’unico obiettivo di migliorare la professionalità dei nostri collaboratori. Altroché le vertenze per ottenere un quarto di punto in più rispetto al nostro vicino di scrivania…!
 
E così viene facile trattare la prossima caratteristica del lavoro di domani, perché ha molto a che fare con la valutazione: non più attenzione maniacale ai “punti di debolezza”, ma focus sui “punti di forza”, la cui valorizzazione fa miracoli in termini di employee engagement.
 
L’ultima affermazione non ha bisogno di essere commentata, perché fa il paio con la prima: non è più solo il “mio posto di lavoro”, ma il lavoro fa parte della “mia vita”, al pari degli affetti, delle passioni, degli svaghi. E sapete perché? Perché mi realizza come essere umano. Come può il lavoro stare fuori da ciò che conta nella mia vita se rappresenta un elemento che mi completa come persona? Colleghi che ripetono come un mantra frasi del tipo «il venerdì pomeriggio tiro giù la “saracinesca” e la riapro il lunedì mattina, nel frattempo sono un’altra persona», temiamo non vadano lontani. Anzi, non vanno da nessuna parte.
 
Attrezziamoci: farci trovare preparati è l’unica arma a nostra disposizione per affrontare alla grande il futuro.
 
Ad maiora!
 
paolofossati.net

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