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Telelavoro e lavoro agile tra progressività e continuità. Il circolo virtuoso della trasformazione tecnologica: il caso del Comune di Bergamo e della Provincia Autonoma di Trento

di Valerio Langè
Come tutti sappiamo, la legge 124/2015, nota come legge Madia, prevede, al primo comma dell’articolo 14, che le Pubbliche Amministrazioni, nei limiti delle risorse di bilancio e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adottino misure organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro 3 anni, ad almeno il 10% dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera.

Tale obbligo si inserisce in un ventennale percorso normativo che a partire dal 1998, con la legge 191, fino al dicembre 2018, con la legge 145 (l’ultima legge di bilancio) mira a promuovere modi di lavorare sempre più al passo coi tempi. Due sono i principali strumenti progressivamente introdotti: il telelavoro e il lavoro agile, chiamato anche smart working. I due termini sono spesso confusi e usati impropriamente come sinonimi, ed è opportuno riportarne le definizioni date dal Legislatore. Il telelavoro prevede l’esecuzione della prestazione di lavoro in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro, dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l'amministrazione cui la prestazione stessa inerisce (DPR 70/1999); il lavoro agile (o smart working) è invece definito come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa (articolo 18, comma 1, dell’A.S. 2233-B).

Se il telelavoro si qualifica quindi quale forma contrattuale, il lavoro agile o smart working è invece un modo di lavorare e più ampiamente una filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati (fonte Osservatorio Smart Working).

È bene evidenziare come sia il telelavoro, sia il lavoro agile, facciano riferimento all’utilizzo di strumenti tecnologici. L’innovazione tecnologica e quella digitale in particolare hanno cambiato da tempo il modo di vivere delle persone, rendendo disponibili nuovi canali di comunicazione e nuove forme di interazione (come può essere il “like” su Facebook). È possibile fare la spesa (online) mentre si attende il proprio turno in ambulatorio, dettare e inviare un messaggio (Whatsapp) mentre si guida, senza doversi fermare né compromettendo la sicurezza, o ancora verificare che nessuno si sia introdotto in casa (grazie alla domotica) mentre si utilizza un impianto di risalita. Non sempre le stesse comodità tecnologiche, ampiamente diffuse nel mondo dei consumatori, sono utilizzate a scopi lavorativi nelle Pubbliche Amministrazioni. Ben vengano quindi tutte le occasioni che permettono di “iniettare” nuove soluzioni tecnologiche nella quotidianità delle Pubbliche Amministrazioni. Anche perché se per utilizzare al meglio le tecnologie digitali occorrono competenze specifiche, è altrettanto vero che l’adozione di tali tecnologie porta a sviluppare queste competenze, in un circolo virtuoso per cui si impara facendo e più si impara, più si introducono tecnologie innovative, aumentando via via l’efficacia e l’efficienza del lavoro.

Il telelavoro, pur mantenendo alcune rigidità anacronistiche, può quindi essere un primo passo verso un nuovo modo di lavorare più agile, più smart.

È il caso, ad esempio, del Comune di Bergamo, che da settembre del 2015, per favorire la conciliazione vita-lavoro e introdurre il lavoro per obiettivi, ha introdotto forme di lavoro agile richiamando regole e pratiche di telelavoro già precedentemente a disposizione dei dipendenti. L’iniziativa consente oggi ai dipendenti di lavorare da remoto fino a 2 giorni per settimana ed è accompagnata da momenti di formazione sia in generale sul tema dello smart working, sia più puntualmente sull’utilizzo delle tecnologie messe a disposizione. Tra i risultati rilevati dal Comune di Bergamo si evidenzia una maggiore soddisfazione lavorativa dei dipendenti e la riduzione dei trasferimenti casa-ufficio.
Dal caso del Comune di Bergamo emerge quindi come una preesistente esperienza di telelavoro, che non aveva mai veramente preso piede, è stata utilmente propedeutica all’introduzione del lavoro agile.

Un secondo caso è quello della Provincia Autonoma di Trento, che nel 2012 aveva avviato un progetto di telelavoro, denominato Telepat, che prevedeva due forme di telelavoro, domiciliare e da telecentro, con postazioni assegnate tramite graduatoria biennale. Il telelavoro domiciliare consente di lavorare per alcune giornate settimanali presso l’abituale domicilio/residenza, mentre il telelavoro da telecentro consente che l’attività lavorativa sia svolta per alcune giornate settimanali presso sedi di lavoro dislocate sul territorio provinciale (di proprietà della Provincia o messe a disposizione da altri Enti o Società). In entrambi i casi sono previste giornate di rientro in sede, fasce di presenza obbligatoria e flessibilità oraria giornaliera tra le 7.30 e le 21.00.
Dal 2015, il progetto è evoluto in Telepat 2.0, che ha consentito di estendere questa prima forma di telelavoro strutturato a forme di telelavoro organizzativo, consentendo ai propri dipendenti di lavorare anche in mobilità. In particolare, al telelavoro domiciliare e da telecentro si affiancano il telelavoro mobile e il lavoro agile. Il telelavoro mobile risponde a esigenze di flessibilità organizzativa e personale dei dirigenti e direttori senza essere vincolato da una definizione rigida dei tempi, dei luoghi e dei modi di prestazione dell’attività ed è ammesso fino a 36 ore mensili. Il lavoro agile è invece la modalità di lavoro simile al telelavoro mobile ma destinata a figure professionali con attività non routinarie (categoria D base ed evoluto), già in possesso di PC portatile dell’Amministrazione; è ammesso fino a 21 ore mensili ma l’orario di lavoro resta invariato.
Entrambi richiedono una formazione obbligatoria in materia di sicurezza, consentono una flessibilità spaziale sulla base di precise policy aziendali e sono concessi a cadenza quadrimestrale.
Il progetto coinvolge complessivamente 413 lavoratori, di cui 183 tramite il telelavoro domiciliare, 101 da telecentro, 78 attraverso il telelavoro mobile e 51 tramite il lavoro agile (dati relativi al 2017).
Anche in quest’ultimo caso si osserva come l’introduzione di nuove modalità di lavoro, l’eliminazione di vincoli e l’ampiamento delle possibilità e della platea interessata consente di passare dal telelavoro al lavoro agile con progressività e continuità.




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