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Ragionando di ricerca sociale applicata

di Luigi Mauri

 Mutamento Sociale n.21 - Gennaio 2009

Estratto del paper presentato al Convegno “Qualità del dato e rispetto della persona nella ricerca sociale e di marketing”, Sezione “Valutazione e ricerca”, dell’Associazione Italiana di Sociologia-Sezione Metodologia, Università Cattolica di Milano, Novembre 2008

La ricerca sociale applicata (1) , anche a fini valutativi, ha un forte orientamento pragmatico: ha l’obiettivo (e l’ambizione) di essere immediatamente utilizzabile per risolvere contingenti problemi sociali, valorizzare le risorse delle persone e costruire l'opportunità di formulare scelte percorribili in merito alle politiche. Per prendere decisioni, orientare la progettualità indirizzata alla sfera sociale, valutare processi e i risultati di interventi già implementati, occorre conoscere il fenomeno in analisi, individuare i legami tra le variabili che lo condizionano, trovare l'opzione che più direttamente ed efficacemente consente di perseguire un determinato obiettivo di “successo”. Maggiore l'incertezza, la superficialità della conoscenza della situazione, più elevata la probabilità di arroccarsi sulle posizioni del sapere consolidato e di adottare soluzioni rigide e standardizzate, per nulla adatte al dinamismo del mutamento della società, alla multiformità territoriale ed alla elevata variabilità delle dinamiche dei gruppi sociali.

La ricerca sociale applicata, come approccio necessariamente multidisciplinare e, per quanto difficile da farsi, anche interdisciplinare, ha il compito di mettere in connessione fenomeni, alimentare alternative ed opinioni, esplorare nuovi campi di intervento, ma nel farlo si scontra con la scarsa fluidità del passaggio ricerca-interpretazione-azione, passaggio che prevede la presenza di attori in carne e ossa: i ricercatori, gli operatori dei servizi, gli amministratori, gli utenti, ecc. ciascuno portatore di propri valori e istanze manifeste e latenti, di determinate culture organizzative che, nel loro insieme, possono consentire la finalizzazione o meno di un tale percorso: insomma, gli attori coinvolti devono decidere di voler realizzare un dato progetto. D’altro canto, i ricercatori devono ottemperare alla responsabilità intellettuale, etica e politica di esplicitare tutte le opzioni di intervento possibili che emergono dalla ricerca svolta, prima di indicare la propria preferenza per una determinata azione/intervento, senza sfumare l’eventuale contraddittorietà dell'oggetto di analisi; il rischio è però che non siano in grado di capire le specifiche esigenze di policy; fatichino ad avvicinarsi al territorio ed a finalizzare la ricerca, ma si limitino piuttosto a usare quest'ultima, magari per accreditarsi all'interno della comunità scientifica. Contemporaneamente accade che operatori e politici, preoccupandosi di affermare la propria professionalità o ruolo e desiderosi di rispondere ad una molteplicità di interessi e di domande di alcune tipologie di utenti/elettori più che dell'efficacia generale dei loro interventi, utilizzino la ricerca prevalentemente come strumento per la “comunicazione sociale” più o meno “non disinteressata”: ovvero la usino per la costruzione o il rafforzamento di vettori di “opinione pubblica” orientabile su finalità particolaristiche (2).

La connessione tra ricerca e azioni di policy, ovvero tra ricercatori e decisori, è invece lo snodo chiave di cui occuparsi. Come scienziati sociali bisogna immaginare forme di coinvolgimento, comunicazione e restituzione delle analisi fatte che siano trasparenti, che diano indicazioni operative e che valorizzino tutti gli attori che nel concreto dovranno garantire la traduzione della conoscenza in azioni, così che l'apporto conoscitivo inneschi meccanismi di apprendimento organizzativo e di miglioramento della qualità. Il che significa evidentemente anche coinvolgere i cittadini-utenti, costruire insieme a loro le risposte più adeguate ai loro bisogni, identificare le risorse positive di cui sono portatori e le loro persistenti capacità che occorre sviluppare e non penalizzare.

Le metodologie di lavoro che un ricercatore sociale applica alla ricerca, alla consulenza e alla formazione sono evidentemente varie, ma devono essere finalizzate comunque alla riduzione della complessità, cioè a dare “informazione” intesa come processo selettivo di creazione di senso. La risorsa “informazione”, vista in prima accezione come grado di novità conoscitiva che si introduce in un dato contesto sistemico; un trattamento “metodologicamente rigoroso” e un utilizzo “consapevole” delle informazioni raccolte costituiscono i fattori cardine per produrre e codificare elementi di “oggettività scientifica” misurabili e confutabili che sono a loro volta alla base del raggiungimento di quella precisione conoscitiva indispensabile per l’attuazione di processi decisionali in ambito gestionale complesso. Per far questo, dal punto di vista pratico-organizzativo e controintuitivamente, occorre empiricamente raccogliere il minor numero di “dati” possibile per poi tradurli in informazioni il più possibile mirate rispetto agli obiettivi conoscitivi e operativi previsti. Si tratta insomma di contestualizzare ogni singola attività di ricerca di dati nel quadro organizzativo di un sistema informativo codificato. Tema questo che qui non è possibile affrontare, ma che è di cruciale importanza, come altrove si è ampiamente discusso(3) .




Note

(1): Si vedano Zanuso R., Perché fare ricerca sociale, in “Mutamento Sociale”, n. 1, nonché Ruspini E., Ricerca sociale applicata, in Mauri L., Penati C. (a cura di), “Pagine Aperte 2. Strumenti di conoscenza e di gestione del cambiamento” , F.Angeli, Milano, 1996.
(2): Mauri L., Opinione pubblica, in Mauri L., Penati C. (a cura di), “Pagine Aperte 2.”, op. cit.
(3): Mauri L., Il Sistema informativo sociale. Una risorsa per le politiche pubbliche di welfare, Carocci, Roma, 2007

 

 


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