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Ok boomer: l’age management nella PA italiana

di Valerio Langè

Aumento delle disuguaglianze, maggiori costi e minore qualità dell’istruzione, polarizzazione della politica esacerbata dall’uso di Internet e riscaldamento globale sono alcuni dei fenomeni che alimentano il conflitto tra la cosiddetta “Generazione Z”, cioè l’insieme di persone nate tra la seconda metà degli anni Novanta e la fine degli anni Duemila, e i “Baby boomer”, cioè le persone nate tra la metà degli anni Quaranta e gli anni Sessanta, figli appunto del boom economico. Il conflitto generazionale ha trovato recentemente manifestazione nell’espressione polemica e insofferente “Ok, boomer”, traducibile come “D’accordo vecchio”. Si tratta di un’espressione usata, soprattutto in internet e sui social network, da adolescenti e giovani per zittire o irridere affermazioni percepite come lamentele paternalistiche della generazione dei cinquanta-sessanta-settantenni, generazione ritenuta responsabile dei fenomeni negativi che caratterizzano l’attuale periodo storico. L’espressione è utilizzata in diversi ambiti e attraverso più canali: per commentare video su YouTube, per rispondere ai tweet e in generale come replica a qualsiasi persona di età superiore ai trent’anni che si esprima in modo critico relativamente ai giovani e ai problemi che li riguardano. Per avere un’idea della popolarità dell’espressione, si tenga presente che una maglietta con l’espressione “Ok boomer” ha raccolto ordini per più di 10.000 dollari.

Il fenomeno, al di là delle distorsioni, richiama l’attenzione sull’invecchiamento della popolazione, che caratterizza il mercato del lavoro del Paese e in modo particolare il settore pubblico. Secondo le proiezioni Istat 2006, infatti, si prevede che nel 2050 gli over 65 potrebbero rappresentare il 75% della popolazione italiana; per quanto riguarda la popolazione attiva, nel 2012 l’età media ha sfiorato i 42 anni, mentre i giovani rappresentano meno del 7%, contro un 12% di lavoratori over 50. L’invecchiamento della popolazione attiva è dovuto da una parte al generale invecchiamento della popolazione, dall’altra alle riforme previdenziali e alla crisi economica, che hanno contribuito a un generale innalzamento della presenza relativa dei lavoratori over 50 nel mercato del lavoro. Il fenomeno è particolarmente accentuato nel settore pubblico, in cui nel 2016 l'età media ha superato i 50 anni (dato 2016: 50,34 anni).

Per questo, allo scopo di mantenere e accrescere il benessere organizzativo, l’efficacia e l’efficienza della pubblica amministrazione, è bene che le Amministrazioni si interroghino circa le strategie di age management da mettere in atto. Si tratta, infatti, di introdurre interventi e risposte che nell’ambito del diversity management possano valorizzare, riconoscere e utilizzare i punti di forza di tutti i lavoratori a prescindere dall’età anagrafica, per creare e mantenere un equilibrio tra le diverse generazioni all’interno dell’Ente. In particolare, la letteratura suggerisce che l’anzianità comporta il consolidamento delle competenze legate all’esperienza job specific e alle skills socio-relazionali, insieme con la progressiva perdita di capacità lavorative in termini di minori performance fisiche e ridotte capacità d’apprendimento. Ai lavoratori anziani si riconoscono tuttavia conoscenza e consapevolezza organizzativa e dello stile e delle consuetudini, fedeltà e lealtà, prudenza, controllo emotivo e autorevolezza, accuratezza, disponibilità ad aiutare i colleghi, responsabilità, riflessività e memoria storica. I lavoratori più giovani sono invece preferibili agli anziani per l’attitudine all’innovazione, la familiarità con i sistemi informatici, la creatività e l’integrazione in gruppi di lavoro preesistenti. Con l’avanzare dell’età, tuttavia, è spesso avvertito un gap tra richieste e performance, gap che influisce sia sul benessere organizzativo, sia sulla produttività. Per questo, occorre attuare adeguati interventi, sia preventivi, sia reattivi. L’age management è inoltre raccomandato dal Legislatore: nel 2000 la direttiva CE 2000/78 introdusse la discriminazione di età tra quelle da combattere e l'Unione Europea ha proclamato il 2012 Anno Europeo per l'Invecchiamento Attivo e la solidarietà tra le generazioni, con l’obiettivo di sviluppare iniziative di sensibilizzazione e l’elaborazione dei principi comuni per le politiche in materia d'occupazione per l'invecchiamento attivo.

Gli esempi sono tanti: ci sono palestre informatiche in cui i lavoratori più giovani formano i lavoratori over 50 e sportelli di ascolto (Telecom Italia), il job sharing familiare che permette al dipendente di farsi sostituire dal coniuge disoccupato, in cassa integrazione o da un figlio, l’integrazione sino al 100% della retribuzione per i collaboratori assenti da oltre 180 giorni in caso di patologie gravi e le politiche di flessibilità nella gestione individuale della presenza (Luxottica), le indagini di clima (Unicredit), la collocazione in mansioni in cui sia possibile usufruire di forme di flessibilità e mettere a frutto competenze specifiche maturate nel corso del tempo (Ikea), le consulenze da parte di dipendenti specializzati in quiescenza per formare i neo-assunti (Volkswagen)…

I Comitati Unici di Garanzia possono fare molto per favorire il benessere organizzativo e combattere le discriminazioni legate all’età: occorre partire da un’analisi accurata della propria organizzazione e individuare una strategia e delle azioni adatte ai problemi riscontrati, nella consapevolezza che non esiste una ricetta valida per tutti ma che ogni organizzazione deve individuare una strategia personalizzata, “su misura”.

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