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Lo sviluppo dei Dipartimenti Dipendenze delle Asl: nuove modalità organizzative, centralità del marketing sociale e prospettive di sviluppo operativo

Alessandro Pozzi a colloquio con Vincenzo Marino

Mutamento Sociale n.12 - Novembre 2006

I Servizi per le Tossicodipendenze, pensati ed organizzati inizialmente soprattutto per il contrasto alla dipendenza da eroina, hanno dovuto ridefinire negli anni la propria “mission” e la propria struttura organizzativa in funzione delle profonde trasformazioni intervenute nei fenomeni di abuso/dipendenza e delle modificazioni del quadro normativo nazionale e regionale.
Le variazioni dell'assetto normativo successive al DPR 309/90, hanno infatti sostanzialmente riformato le competenze delle ASL (a partire dalla L. 502/92) disciplinando in modo innovativo il rapporto tra i vari soggetti (pubblici, privati, del volontariato, ecc.) operanti nell’area del contrasto delle dipendenze.
Questo processo di trasformazione del sistema d’intervento è culminato nella costituzione dei Dipartimenti delle Dipendenze, modello organizzativo individuato dalla normativa vigente allo scopo di favorire una più organica attività di pianificazione territoriale e promuovere lo sviluppo di un sistema di intervento coordinato tra i diversi soggetti attivi sul territorio.

Come è mutato negli anni il modo di affrontare la lotta alle dipendenze, quali le strategie che consentirebbero di intercettare la nuova domanda di cura, quali le modalità organizzative e le risorse necessarie in grado di qualificare l’attività degli Osservatori, e infine, quali gli sviluppi accreditati come più probabili per il prossimo futuro, sono alcune delle domande che sono state poste al prof. Vincenzo Marino.

 

A.P. - Dall'istituzione dei SerT alle recenti tendenze di aziendalizzazione delle strutture, si sono verificati una serie di importanti trasformazioni nell’operatività dei Dipartimenti Dipendenze. Sulla base dell’esperienza maturata, come è cambiato nel corso degli anni il modo di affrontare la lotta alle Dipendenze?
V.M. - Ritengo che il processo che si è verificato negli ultimi decenni nelle aziende private produttrici di beni, quel processo di evoluzione che a partire dal New Deal ha modificato radicalmente il modo di concepire il rapporto tra prodotto e cliente, si stia lentamente diffondendo, seppur con maggiori difficoltà, anche nell’organizzazione dei servizi sanitari ed ospedalieri.
Inizialmente si pensava esclusivamente al prodotto, mentre l’individuazione del cliente costituiva solo l’ultimo segmento del processo di produzione. A partire dal 1932, proprio con lo sviluppo del New Deal, tale logica è stata rovesciata e le esigenze del cliente sono divenute la matrice principale sulla quale definire i beni di consumo. E’ da quel momento storico che i prodotti sono stati progettati con la finalità di rispondere ai bisogni, alle aspettative e ai desideri del cliente-compratore e con l’ottica di intercettare un pubblico via via più crescente.
Anche nell’ambito dei Servizi alle Dipendenze, il discorso è analogo e la domanda da porsi è inerente a quali siano le esigenze più importanti da intercettare e alle ragioni per le quali i servizi non siano stati in grado di fornire una risposta soddisfacente ai bisogni rimasti insoddisfatti.
Anche quando si interviene e si produce un bene o un sevizio dedicato ad una certa fascia di popolazione, è possibile vincere la concorrenza solo se il prodotto venduto è in grado di rispondere in maniera più adeguata di altri ai bisogni espressi da quella specifica fascia di popolazione. Diciamo allora che il marketing è qualcosa di molto più vicino alla psicologia e alla sociologia che all’economia, perché si occupa primariamente di intercettare bisogni a cui trovare una risposta, che sono oggi molto differenziati nella popolazione.


A.P. - Può farci qualche esempio?
V.M. - Se per esempio dobbiamo produrre un bene come un automobile, dovremo prima conoscere a fondo i diversi segmenti di mercato ed orientarci verso uno solo di essi: l’utilitaria servirà per muoversi in città, per i neo-patentati, per le donne; l’auto di lusso per ostentare uno status; l’auto sportiva avrà invece un pubblico più giovanilistico, ecc. Stessa cosa vale per gli abiti: potranno servire per coprirsi dal freddo, ma anche per mostrare opulenza, potranno essere tecnici, come quelli per la montagna, oppure raffinati, come gli abiti da sera, e così via.
I diversi segmenti di mercato presentano bisogni molto diversi e chi tende ad un target medio-alto, difficilmente si avvicinerà ad un abito dozzinale o ad un’utilitaria: anche se costa di più, tenderà a scegliere un prodotto della fascia corrispondente al proprio desiderio.


A.P. - Questo paradigma è ormai divenuto patrimonio consolidato nelle aziende produttrici di beni, ma lo è molto meno nell’ambito dell’erogazione dei servizi soprattutto dei servizi socio-sanitari…
V.M. - Anche i SerT, ad esempio, possono essere considerati dei prodotti che sono stati inizialmente definiti a livello ministeriale e che dovrebbero fornire risposte ad un determinato bisogno. Difficilmente però, sono in grado di intercettare tutti i diversi tipi di utenza: un servizio ambulatoriale, modulato con determinate caratteristiche, può andare bene per alcuni segmenti di popolazione, ma non per altri, né è in grado -se rimane statico- di adattarsi alle trasformazioni che stanno intervenendo nell’abuso di sostanze. Le dipendenze infatti non riguardano soltanto giovani appartenenti a fasce socio-economicamente più deboli della popolazione, ma anche professionisti, imprenditori, politici e così via. Per target come questi, di status medio alto, probabilmente potrebbe essere più utile una struttura che apre due ore la sera in un contesto poco connotato, magari in un appartamento in centro, piuttosto che una struttura a bassa soglia che intercetta un’utenza prevalentemente svantaggiata dal punto di vista sociale.
Diventa dunque fondamentale sviluppare strumenti di programmazione e pianificazione strategica, di cui il marketing rappresenta un pilastro fondamentale. Ciò consentirebbe, da un lato, di riconoscere i bisogni e confezionare i prodotti in modo più puntuale, dall’altro, di monitorare l’adeguatezza dei servizi rispetto alle esigenze individuate, in una logica di miglioramento della qualità.


A.P. - Quali sono dunque le strategie che consentirebbero di intercettare la domanda, espressa e latente, di prestazioni e quali potrebbero essere le risorse e gli strumenti da attivare?
V.M. - Sul piano della domanda, le strategie sono quelle classiche del marketing: le ricerche di mercato e l’analisi dei dati disponibili. Il problema è rappresentato dalla connessione tra la raccolta delle informazioni che già esistono e la parte di ricerca delle informazioni che ancora non si conoscono. Diventa dunque imprescindibile un importante lavoro di validazione, elaborazione ed interpretazione che sia in grado di dotare di senso queste informazioni e che permetta di capire quali siano i prodotti e i servizi realmente necessari, i bisogni a cui si deve rispondere, quanto i prodotti soddisfano le aspettative le esigenze dei clienti.
Se noi vendiamo qualcosa che non corrisponde a un bisogno ben definito, noi non lo venderemo mai, perchè la gente compra solo prodotti o servizi in grado di corrispondere ai propri bisogni, anche se questi bisogni fino ad allora non erano percepiti in modo chiaro ed evidente, erano latenti insomma.
Per esempio un venditore di tappeti su una spiaggia può agire in due modi: andare avanti e indietro e cercare qualcuno che ne vuole uno (in questo caso si sceglie un prodotto ex ante e si cerca un acquirente interessato), oppure può chiedersi qual è il terreno sul quale si sta agendo, ovvero guardarsi in giro e cercare di capire ciò che succede sulla spiaggia, quali potrebbero essere i bisogni dei bagnanti: qualcuno vorrebbe un giornale da leggere, altri della crema solare, altri ancora qualcosa di fresco da bere.
Il concetto di base è che non si riesce a vendere un prodotto, se il prodotto non serve. Di contro, sarà possibile fare affari se si sarà in grado di intercettare un desiderio specifico: l’interfaccia tra psicologia ed economia è proprio il desiderio. Di questo si occupa il marketing.
Come detto, i bisogni possono essere di diverso tipo, ci sono dei bisogni consapevoli e dei bisogni inconsapevoli. Evidentemente per i primi basta “chiedere”, mentre i bisogni inconsapevoli vanno dedotti ed indagati con strumenti specifici.


A.P. - Quelli citati sono in sostanza i compiti di un Osservatorio territoriale. Tra diverse esperienze che si sono sviluppate in Lombardia negli ultimi anni, quella dell’Osservatorio Dipendenze dell’Asl di Varese si colloca sicuramente tra le più avanzate, sia per la mole delle attività condotte, sia per la storia e la cultura organizzativa che ne hanno permesso la nascita e la stabilizzazione.  
Quali sono secondo Lei le attività, le modalità di organizzazione e le risorse necessarie in grado di qualificare l'attività di un Osservatorio?

V.M. - Un Osservatorio, nei fatti, può essere considerato il braccio operativo del Dipartimento Dipendenze. Le sue attività sono molteplici: dalla raccolta sistematica dei dati e degli elementi necessari per fotografare il fenomeno dipendenze su scala territoriale, all’attivazione di schede di flusso periodiche su servizi come le Comunità Terapeutiche, dalla predisposizione di indicatori e standard alla valutazione e al monitoraggio degli interventi. La stessa delibera regionale n. 7/4768 del 24 maggio 2001, definisce l’Osservatorio come “strumento fondamentale, in un’ottica di programmazione partecipata, capace di fornire informazioni sui bisogni da soddisfare e sull'evoluzione della domanda, la ricognizione delle risorse disponibili e l'individuazione delle risorse aggiuntive, sia del settore pubblico che del privato”.
Un Osservatorio strategico deve comunque raccogliere anche tutte le informazioni che consentano al Dipartimento di elaborare e rielaborare continuamente gli obiettivi programmatori parallelamente all’evoluzione dei bisogni della qualità dei servizi. Oltre a flussi informativi sul versante dell’offerta, alimentati per via amministrativa, un Sistema Informativo maturo deve dunque prevedere anche il ricorso ad attività di ricerca volte a dimensionare la domanda di trattamento, espressa e potenziale (ad esempio attraverso indagini survey, panel, analisi di dati secondari, ecc.), nonché il livello di qualità di tali servizi e prestazioni, con strumenti quali indagini di soddisfazione, analisi di cultura organizzativa, e così via.


A.P. - Oltre agli Osservatori, quali sono gli altri elementi che potrebbero caratterizzare l’attività dei Dipartimenti Dipendenze nel prossimo futuro?
V.M. - Le nuove sfide, se così si possono definire, fanno riferimento alla costruzione di una struttura dipartimentale che svolga i propri compiti di programmazione e pianificazione strategica in modo sempre più articolato e strutturato. Sarebbe questa una struttura nuova, flessibile, dinamica e modellata sulla realtà del territorio, che non può essere progettata a Roma una volta per tutte, così come accaduto in passato per i SerT, pianificati dal Ministero senza un’indagine preventiva dei desideri e dei potenziali utenti. Questa nuova struttura deve essere invece in grado di rapportarsi con i diversi soggetti attivi sul territorio, deve avere una solida regia nel Dipartimento Dipendenze e deve interagire in modo funzionale con i propri utenti, in una logica di soddisfazione e rispondenza ai bisogni evidenziati: deve essere in sostanza “client oriented”. Questi, secondo me, rappresentano gli elementi che dovrebbero caratterizzare il modello di funzionamento dei servizi socio-sanitari e la ragione del loro eventuale successo.

  Vincenzo Marino è psicoterapeuta, direttore del Dipartimento Dipendenze dell’Asl di Varese e docente a contratto della Scuola di specializzazione in Farmacologia dell’Università degli Studi dell’Insubria.

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