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La valutazione delle prestazioni e la cultura dell'ottimo

di Franco Brussolo
Mutamento Sociale n.4 - Dicembre 2004

Il giudizio di 'ottimo' che, con riferimento alla qualità e alla quantità della prestazione lavorativa, viene annualmente attribuito alla quasi totalità dei dipendenti pubblici, è cattiva abitudine che purtroppo sembra interessare anche larga parte del mondo aziendale, terminando per riguardare, più probabilmente, il costume nazionale nel suo insieme.
Un simile giudizio pare pertanto indicativo di come il noto adagio 'ogni scarraffone è bello……..', uscendo dagli stretti confini familiari, abbia finito per estendersi - quantomeno sul piano delle apparenze e delle forme - anche ai rapporti di lavoro.
Poiché all'interno di questo genere di rapporti parrebbe invece legittimo attendersi una maggiore capacità di differenziazione, il puntuale ripetersi di questa circostanza sta presumibilmente a significare che il senso di colpa - stato d'animo che di solito prende il sopravvento laddove il senso della responsabilità personale è labile - agisce tuttora in modo esteso anche nelle organizzazioni di lavoro.
A tale proposito, capita di dover constare come nemmeno i comportamenti lavorativi vistosamente più disallineati rispetto a quanto contrattualmente stabilito, riescano a mettere in discussione la legittimità dell'appartenenza di un individuo all'organizzazione, appartenenza che spesso risulta difficilmente rescindibile - quasi fosse fissata una volta per tutte - e che, alla fine - come si diceva - ha anche una elevatissima probabilità di venire sancita da un giudizio salvifico e bonificante, garantito pressoché a tutti.
Viste le premesse, pare pertanto prevedibile che l' 'ottimo' sarà duro da scalfire, e non solo per l'assuefazione ad una mentalità di stampo 'familistico', ma anche per la perdita dei vantaggi che questo genere di giudizio, quanto a possibilità di disimpegno e di evitamento del confronto, assicura ai valutatori.
Quando nelle organizzazioni di lavoro, siano esse pubbliche o private, ci si cimenta nell'introduzione di un sistema valutativo volto a consentire una più chiara e mirata gestione delle risorse, capita infatti che coloro che sono chiamati a utilizzarlo - i Capi - frequentemente escano con affermazioni del tipo:

· 'come si fa a dare un giudizio non positivo, quando negli anni precedenti al collaboratore è sempre stato attribuito - indipendentemente dal fatto che ciò rispondesse a verità - un giudizio positivo?'
· 'è difficile andare a spiegare che oggi non si largheggia più con le valutazioni'
· 'se si va a chiedere ad un collaboratore l'impegno a migliorare una prestazione insufficiente, è possibile che si demotivi ancora di più, quindi forse conviene lasciare le cose come stanno'
· 'esiste un conflitto tra l'esigenza dell'azienda di avere informazioni attendibili sulla prestazioni e la necessità del Capo di assicurarsi il costante contributo del proprio collaboratore'

Il grado di diffusione della discutibile usanza di largheggiare oltremodo nelle valutazioni richiede dunque di attuare una profonda riforma, riforma che tuttavia sembra trovare proprio tra gli stessi Capi - a tutti i livelli - una nutrita schiera di più o meno espliciti oppositori.
Se, da un lato, non dovrebbero sussistere incertezze circa il fatto che non si debba colludere con il gioco sotteso a certe affermazioni - gioco che finirebbe per lasciare isolati quei Capi che invece ritengono che  'l' 'ottimo' dato a tutti corra il rischio di minare la motivazione dei migliori, senza peraltro riuscire ad accrescere l'impegno dei peggiori' -, parallelamente, dall'altro lato, non dovrebbero sussistere dubbi circa il fatto che tali affermazioni vadano lette anche come espressione di comprensibili e non del tutto irragionevoli timori, e che coloro che li esprimono debbano essere aiutati a superarli, attraverso opportune azioni di formazione e, parallelamente, di responsabilizzazione.
Alla luce delle considerazioni esposte, si può altresì affermare che l'introduzione di una utile ed equa 'cultura valutativa' - condizione indispensabile per poter gestire il merito sulla scorta dell'effettivo contributo dei singoli - comporta che le organizzazioni di lavoro abbiano la consapevolezza che:

· le probabilità di successo di un sistema valutativo hanno come indispensabile prerequisito un forte, continuativo coinvolgimento del vertice aziendale, altrimenti il processo di cambiamento culturale finisce progressivamente per decadere
· la credibilità di un sistema valutativo dipende, oltre che dal grado di impegno dei livelli organizzativi più elevati, anche dalla qualità e dalla rapidità dei segnali di ritorno: valutati e valutatori hanno infatti bisogno di vederne le conseguenze pratiche, in termini di gestione del merito e - in combinazione con la valutazione del potenziale - di sviluppo delle carriere
· l'attendibilità di un sistema valutativo è anche l'unica praticabile arma per riuscire ad arginare le profezie degli scettici e, contemporaneamente, il più importante fattore di sostegno per chi a tale processo intende dare un serio, professionale contributo

Le certe, inevitabili difficoltà cui vanno incontro tutte le aziende quando introducono nuovi sistemi di 'valutazione delle prestazioni', deve infine rendere avvertiti che, data la rilevanza - sia concreta che simbolica - che tali sistemi assumono per l'organizzazione e per le persone che in essa operano, l'investimento da compiere deve essere massiccio, in termini di impegno dedicato, e di lungo periodo, in termini di messa a regime.

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